Mauro De Filippis: on the road again

Il fuoriclasse di Taranto torna in pista alla World Cup di Rabat ed è subito oro: e questo è il racconto della sua prima uscita del 2024

È stata certamente una gara rally per molti motivi quella della World Cup di Rabat: prima uscita ufficiale per Mauro De Filippis in questa stagione 2024. Lo spiega a chiare lettere il fuoriclasse tarantino al ritorno dalla trasferta del Marocco in cui ha conquistato la medaglia d’oro nella Fossa Olimpica davanti a due avversari accreditatissimi: il ceco David Kostelecky e l’australiano James Willett. Competizione lunga e pesante in senso tecnico, la World Cup di Rabat ha anche sottoposto i suoi protagonisti a escursioni termiche violente che imponevano l’abbigliamento invernale per le ore della mattina e quello estivo invece per il pomeriggio. Era l’occasione per togliere la ruggine: spiega efficacemente Mauro De Filippis descrivendo il suo compito. E quello che segue è proprio il racconto dettagliato dell’impresa dalle parole dello stesso azzurro.

Mauro, se valutiamo la qualificazione e la finale della prova di Coppa del Mondo di Rabat appare chiaro che per te e anche per alcuni degli altri finalisti è stata una gara da manuale. Concordi?

Il livello della Coppa del Mondo di Rabat è stato molto alto, ma occorre considerare che in questa fase, oltre alla consueta volontà di vincere che naturalmente ogni agonista esprime, gli atleti che sono senza carta olimpica vogliono acquisire punti e quel traguardo è un forte incitamento a dare il massimo in gara. Ad esempio James Willett in questa occasione ha messo un sigillo importante con il terzo posto: l’atleta australiano aveva una posizione già buona nel ranking e con questo risultato ha certamente fatto un passo significativo. C’è poi anche da considerare il livello tecnico del campo in cui abbiamo gareggiato. L’impianto di Rabat ha un coefficiente tecnico molto alto con lanci difficili su cui puoi concederti poche sbavature. Per quanto mi riguarda è stata certamente una gara costante: infatti anche in allenamento avevo sparato esattamente sulle medie della gara.

Si dice da sempre che le prime gare della stagione sono un rodaggio: è una considerazione ancora valida nel meccanismo agonistico attuale?

Per noi era sicuramente l’inizio della stagione: veniamo direttamente dalla preparazione invernale. Siamo nella fase di ripresa e non possiamo certamente parlare di piena forma perché non corrisponderebbe al piano che ha fatto lo stesso Marco Conti. In questi mesi con il Direttore tecnico abbiamo fatto l’allenamento consueto che facciamo durante l’inverno: poi abbiamo fatto un raduno all’inizio di gennaio a Todi, ma una cosa utilissima secondo me è stata l’idea di fare i tre giorni di allenamento a Conselice subito prima di partire per il Marocco.

Con quale spirito hai partecipato alla Coppa del Mondo di Rabat?

Quando partecipo a una gara, voglio vincere: qualunque sia la competizione a cui sto partecipando. Oggi naturalmente c’è la consapevolezza che nessuno di noi è al 100%. Dobbiamo ancora fare della strada, però appunto già a Conselice mi sentivo bene e stavo tirando bene. Ci sono ancora piccoli accorgimenti da definire, ma siamo sulla strada giusta.

Mauro De Filippis con il Direttore tecnico Marco Conti

Per un atleta del tuo livello qual è l’indizio – al di là del punteggio, naturalmente – che si è raggiunto lo stato di forma ideale?

Quando in gara si agisce con quello stato di serenità che si riesce a sperimentare durante gli allenamenti.

Se la gara di Rabat fosse un film e tu avessi la possibilità di girare di nuovo una sequenza, quale sequenza sceglieresti di trasformare?

Nella penultima serie della qualificazione ho mancato il ventesimo e il ventunesimo piattello. Il ventesimo l’ho percepito strano: è probabile che ci sia stato qualcosa di tecnicamente anomalo in quel piattello. Quando si diceva prima del momento di forma non ancora compiuto, ecco il caso emblematico. In quel momento, dalla quinta pedana alla prima non sono riuscito a recuperare e quindi ho commesso il secondo errore proprio per effetto del precedente. Ma per il momento ci sta: va bene così. E poi forse interverrei nell’ultima serie in cui ho mancato un piattello molto impegnativo che mi aveva tormentato un po’ in tutta la gara. Considerando la situazione, devo dire che evidentemente non sono riuscito a mettere in pratica quello che dico sempre e che mi ripetevo fin da ragazzino: non è il primo zero che ti impedisce di vincere la gara, ma è semmai quello che fai dopo.

Quando dici che quel ventesimo piattello della penultima serie era strano che significa esattamente?

L’ho giudicato strano soprattutto perché in quella serie ho fatto ventitré prime canne. È stato un piattello che mi ha sorpreso. È una sensazione dettata anche dal momento in cui siamo: per quello ho fatto riferimento insistentemente alla preparazione. Di certo quel piattello mi ha destabilizzato: è mancata un po’ di lucidità che è un fenomeno appunto tipico di questo momento di costruzione della forma. Per tornare alla domanda, sì: ho interpretato come strano quel destro in quinta. Forse è caduto male sulla macchina. Era un piattello particolarmente veloce, particolarmente lungo in traiettoria e particolarmente alto. Lo avevo già sparato e me lo ricordavo, ma è riuscito ugualmente a sorprendermi. Poi il piattello che ho affrontato subito dopo in prima era molto diverso da quello che avevo sbagliato in quinta e questa sorpresa ha contribuito al secondo errore.

Con quale atteggiamento sei entrato in finale?

Sapevo che era una finale dura in cui sarebbe stato necessario concedersi il minor numero possibile di errori. Come sempre, del resto: potremmo dire. Ho iniziato benissimo. Poi è arrivato lo zero al decimo: un sinistro in quarta pedana, un piattello che mi ha sorpreso un po’, ma in finale ci sta. Successivamente è arrivato lo zero al centrale in prima pedana: un altro piattello che mi ha sorpreso. Sono tutte quelle piccole imperfezioni che fanno parte del momento. Nell’evoluzione della finale a un colpo questi errori ci stanno, ma devo essere sincero: sentivo che anche gli altri stavano commettendo qualche errore. Questo format di finale d’altronde ti dà comunque la possibilità di concederti qualche errore o quantomeno di recuperare se uno zero arriva e obbiettivamente è un format che premia sempre il tiratore più forte.

Un dato è certo e lo si è avvertito chiaramente: hai acquisito sicurezza nel corso della finale.

Sì, senz’altro. Del resto siamo andati appunto a fare questa gara per utilizzarla come test. Quando in finale ho sbagliato il centrale ho guardato Marco e ci siamo detti alcune cose con lo sguardo. Mi ha fatto capire che errore avevo fatto. Da lì in poi mi sono sentito bene, sapevo che ero perfettamente in gara. Poi, certo, qualche altro errore può arrivare come è accaduto nel resto della finale: sono gli stessi piattelli fumogeni che producono qualche errore che magari non faresti con i piattelli della qualificazione. Ma ripeto: ero consapevole di essere perfettamente in gara. Negli ultimi dieci piattelli, quando siamo rimasti David Kostelecky ed io, sapevo infine che per portare la vittoria a casa serviva non sbagliare mai. E in quel momento ho pensato proprio alle preziose indicazioni che mi aveva trasmesso Marco con i gesti.

Mauro, in altre interviste hai affermato che stare in pedana per te è sempre un divertimento. L’esordio del 2024 ha confermato questa condizione?

Mi diverto, eccome. Sono fortunato: faccio nella vita quello che mi piace fare. Poi naturalmente ci sono dei momenti in cui fatichi di più e altri in cui fatichi di meno e quello fa parte della quotidianità di ognuno di noi: non solo di uno sportivo. Se fai con gioia quello che devi fare, tutto diventa più facile. Dico sempre: il giorno in cui scenderò in pedana e capirò che non mi emoziono più e non mi diverto, probabilmente sarà arrivato il momento di fare altro. Ma non adesso, non ancora.

Foto: Issf