Diego Valeri: una vittoria d’argento

L’atleta romano della Marina Militare propone la personale moviola della World Cup de Il Cairo che gli ha donato un prestigioso secondo posto

(di Massimiliano Naldoni)

Affrontare la prima Coppa del Mondo di Fossa Olimpica della stagione da titolare e agguantare una medaglia d’argento alle spalle di un campione supertitolato come Alberto Fernandez è un po’ come aver comunque vinto. Diego Valeri, qualche giorno dopo l’impresa egiziana, lo riconosce senza esitazione. Eppure di partecipazioni a gare internazionali importanti (compresa una World Cup proprio a Il Cairo), il ventisettenne di Artena ne aveva già collezionate, ma scendere in campo da titolare in un debutto vero e proprio è qualcosa che non lascia indifferente neppure il più glaciale degli agonisti. Eppure Valeri ha saputo trasformare tutte le tensioni di questo esordio in strumenti per produrre il miglior risultato possibile e il 121/125 di qualificazione e il 41/50 con annessa medaglia d’argento sono un responso che attribuirà al suo autore un solido bagaglio di esperienza per le prove future.

Diego, il secondo posto alla World Cup de Il Cairo è certamente un bel risultato per il tuo debutto da titolare in azzurro, però risulta perfino un po’ stretto considerando come è maturato in quelle ultimissime battute della gara.

Quando sbagli l’ultimo piattello nella finale un po’ di rammarico c’è, però se analizzo tutta la gara e tutta la finale e valuto soprattutto l’atleta, Alberto Fernandez, con cui mi sono confrontato, posso dire che di quel secondo posto sono davvero molto contento. Per me il secondo posto in una gara così importante e con avversari di quel livello è comunque una vittoria.

Le ragioni di quello zero all’ultimo quali sono: ti ha sorpreso il lancio?

Sapevo che c’era ancora un centrale da affrontare, quindi certamente era un piattello che mi aspettavo. Forse l’ho guardato un po’ troppo: ho voluto eccedere nella sicurezza di inquadrare il bersaglio e l’ho perso di vista. Non andrei comunque a far pesare troppo su quel piattello le motivazioni del risultato complessivo. Dal momento che è l’ultimo piattello della gara, si tende a concentrare su quello l’attenzione, ma in fin dei conti è uno zero come avevo fatto al primo lancio della finale ed è uno zero come erano anche gli altri che ho fatto durante la finale. Fra l’altro, come si è visto dalle immagini, istintivamente avevo fatto obiezione allo zero chiamato dall’arbitro perché avevo visto una fumata leggera. Ma ho capito poi che evidentemente mi ero ingannato e il piattello era effettivamente non colpito.

E quello zero al primo piattello della finale invece era l’indizio di una certa tensione per la tua prima finale importante?

Ad esser sincero, la tensione sono riuscito a gestirla abbastanza bene. Avevo preparato bene la finale mentalmente: mi ci sono approcciato in modo corretto. Credo piuttosto che sia stata la presentazione, che, come sempre, precede immediatamente la finale, a deconcentrarmi un attimo e io non sono stato pronto a rientrare nel giusto stato di concentrazione al momento del primo piattello. Quando è iniziata la gara non ero di nuovo pronto al 100% e mi sono lasciato sorprendere. Ho compreso che non era un errore dovuto all’emozione e neppure un errore tecnico. Era stata proprio una mia distrazione e quindi sono riuscito anche a rimettermi subito in pista. È una piccola-grande lezione di cui farò tesoro per le prossime volte.

Diego Valeri esulta al termine della finale de Il Cairo con il vincitore, Alberto Fernandez, e il terzo classificato Oguzhan Tuzun

Il 121 della qualificazione era il punteggio che avevi immaginato dopo aver provato il campo?

Nelle serie di prova ho fatto qualche errore in più rispetto alla gara. Le serie di prova per me sono un momento di studio del campo in cui andrò a gareggiare: sono il momento in cui cerco di trovare il feeling con l’impianto. Concentro l’attenzione sullo sgancio delle macchine, sull’altezza del puntamento. Curando più gli aspetti tecnici, capita che qualche errore in più possa venir fuori. Però ho avvertito anche che le sensazioni erano buone: sentivo che stavo sparando bene. Sinceramente non inizio mai una gara con un punteggio in mente: cerco di dare il massimo e di fare il meglio possibile. Certamente fino dalle serie di prova ho avuto fiducia nei miei mezzi e nella possibilità di fare una buona gara.

C’è stato un momento certamente difficile quando al quindicesimo lancio della finale è arrivato lo zero e lo hai replicato subito dopo. Che cosa è successo in quel momento?

Si sono verificati alcuni problemi di visibilità in alcuni momenti della finale: sono problemi che hanno afflitto un po’ tutti i finalisti. Ho trovato qualche problema nell’aggancio di quei due piattelli in quel momento proprio per qualche cambiamento improvviso di luce.  Sicuramente nel caso del secondo zero ha pesato il pensiero del primo: ho provato a compensare per evitare lo stesso errore del precedente ma sono caduto nell’errore per il problema opposto. È un po’ il problema che è venuto fuori anche nella prima serie di qualificazione in cui ho sbagliato il ventitreesimo, dopo che avevo fatto uno zero a metà serie, perché me lo sono assicurato un po’ troppo.

Anche più avanti, al terzo step, c’è stata un’altra bicicletta su due sinistri in quinta e in prima pedana che potevano rappresentare una svolta negativa della finale. Come hai reagito?

Per principio, sia che si tratti di un piattello colpito o di un piattello sbagliato, la mia tendenza è quella di cancellare quello che ho appena fatto per concentrarmi su quello che ho ancora da fare. Però, certamente, com’è accaduto per la bicicletta nei primi venticinque, un po’ di strascico si verifica sempre perché cerchi di analizzare velocemente l’errore per prendere provvedimenti. Sicuramente anche nella seconda bicicletta della finale la responsabilità è in quel problema di visibilità che a tratti si è prodotto.

Lo sfondo del campo de Il Cairo ha evidenziato quei problemi?

Sul verde del prato sintetico non c’erano problemi, però appena il piattello sfondava sul cielo, ecco che si creavano delle difficoltà. Infatti quel sinistro che ho sbagliato in quinta era un piattello alto che è andato subito a confondersi con il cielo superando velocemente il verde del prato. Con la mancanza di luce in quel passaggio il piattello si perdeva.

Negli ultimi dieci piattelli Alberto Fernandez ti ha riportato in gara con due errori che sono risultati abbastanza sorprendenti per l’esperienza dell’atleta di cui stiamo parlando. Come hai accolto quell’opportunità che improvvisamente ti è stata offerta?

Sono sincero: negli ultimi dieci piattelli non ho fatto nessun calcolo. Non sapevo se avevo dei piattelli di vantaggio o se invece ero in svantaggio. Mi sono davvero concentrato soltanto sulla mia gara. Certamente ho sentito che erano stati suonati due zeri a Fernandez, però in quel momento non avevo veramente cognizione della situazione della classifica. Mi è apparso tutto chiaro soltanto alla fine!