Dall’India al tricolore

I protagonisti della World Cup di Paratrap di New Delhi raccontano la loro trasferta mentre si apprestano a compiere la preparazione per il Campionato italiano di maggio

(di Massimiliano Naldoni)

“Per quante gare internazionali tu abbia fatto nella tua carriera in uno sport o anche in più di uno come nel mio caso, la pressione dell’evento importante l’avverti sempre.” A parlare è Giancarlo Cosio che sulle pedane indiane di New Delhi ha compiuto il suo formale debutto in PT3 in una prova di Coppa del Mondo di Paratrap. Debutto e Cosio sembrano perfino termini anacronistici poiché il paratleta milanese ha trascorsi agonistici di tale rilevanza in molte discipline sportive (anzitutto sci nautico in cui è stato pluricampione e primatista, ma anche nuoto e ciclismo) che impediscono di considerarlo comunque una matricola. Nei fatti Cosio, dopo l’esordio internazionale nel Gran Prix di Brno del 2023, ha affrontato qualche settimana fa in India la sua prima autentica World Cup in maglia azzurra. “È anche un bene avvertire un po’ di tensione – precisa il paratleta milanese – perché significa che hai ancora voglia di metterti in gioco, di gareggiare e di far bene.”

Dopo una partenza molto difficile, alla World Cup di New Delhi Cosio ha saputo riconquistare piena padronanza della sua gara, si è assicurato un posto in finale e ha sfiorato il podio attestandosi al quarto posto: escluso sul 22 pari dal paratleta russo Aleksei Pasternak soltanto per il dorsale.

Giancarlo Cosio durante la presentazione dei paratleti nella finale della World Cup di New Delhi

“Non c’è neanche troppa amarezza per quell’esito – commenta Giancarlo Cosio – perché è stata la prima gara di Coppa del Mondo di Paratrap a cui ho partecipato: l’anno scorso ero stato convocato appunto per Brno e si trattava, sì, di un Gran Prix internazionale, ma comunque non era una gara del livello della World Cup dell’India. Ho certamente notato che i piattelli nelle gare del circuito di Coppa del Mondo sono veloci davvero! Ho iniziato certamente male nella prima pedana: mi lasciavo proprio sorprendere dai piattelli. Allora ho dovuto cambiare posizione in pedana: ho dovuto collocare i piedi a 90° per poter ruotare sul busto più velocemente di quanto non riuscissi a fare prima e quindi per ottenere un maggior controllo del fucile e per arrivare più facilmente sui sinistri. In effetti da quel momento, risolto questo problema di posizionamento, in ogni pedana ho sparato sempre meglio, tant’è che poi in finale ho fatto addirittura la mia pedana migliore di questa gara dell’India.”

Riccardo Rossi ha accompagnato la formazione nella più recente prova internazionale e ha entusiasticamente salutato come un successo la prova del paratleta milanese al suo formale debutto in Coppa del Mondo: “Il livello agonistico continua a crescere: nel circuito ci sono atleti sempre più competitivi e tante nazioni altrettanto competitive che ogni volta si affacciano al Paratrap. Giancarlo Cosio è stato autore di una grandissima gara, ha saputo recuperare dopo le difficoltà del primo giorno riuscendo a lottare validamente. A lui va davvero un plauso perché, pur non essendo andato a podio, si è impegnato tantissimo.”

“Certe lezioni – dice a sua volta Giancarlo Cosio – si ricevono soltanto facendo le esperienze giuste e questa gara è stata fondamentale in questo senso e non posso che essere grato proprio a Benedetto Barberini e a Riccardo Rossi se ho potuto sperimentare questo tipo di competizione.”

Giancarlo Cosio in pedana a New Delhi

Giancarlo Cosio non esita a compiere un’analisi minuziosa della sua prova dell’India.

“Ho avuto la prova – spiega il paratleta milanese – che è importante non farsi travolgere in una situazione come i tre zeri consecutivi nei primi dieci piattelli della finale e continuare a pensare a colpire un piattello alla volta come ci insegna saggiamente il nostro coach Riccardo Rossi. Sono contento del modo in cui ho sparato e questa soddisfazione supera appunto anche l’amarezza del podio mancato per un soffio e dell’eliminazione dalla finale per effetto del dorsale nei confronti del russo Pasternak. Qui, in Coppa del Mondo intendo, il livello agonistico è alto: non è una festa, è una gara che va preparata e gestita con molta perizia. Io l’ho affrontata come ho affrontato tutte le gare di tutti gli altri sport che ho praticato in passato. È chiaro che in questo sport, rispetto agli altri che ho sperimentato, l’elemento mentale è preponderante e quindi devo sempre considerare questo aspetto anche se curo scrupolosamente la mia forma fisica e la mia alimentazione. Del resto è proprio quello che mi affascina di questo sport: è una nuova sfida rispetto alle altre discipline. Nelle altre discipline che ho fatto ci sono dei parametri oggettivi che mi dicevano quando ero in forma e quando non lo ero. Qui è tutto molto legato al momento e alla gestione psicologica della singola gara.”

Giancarlo Cosio (foto di repertorio)

Proprio grazie ad un’analisi accurata della propria gara Giancarlo Cosio, al ritorno dall’India, ha saputo letteralmente distillare ogni momento della sua prova in vista delle prossime gare: prima fra tutte in ordine di tempo il Campionato italiano di Paratrap in programma all’inizio di maggio al Tav La Torre.

“In India c’è stato un piattello in cui ho avuto un problema con la chiamata. – Racconta ancora Giancarlo Cosio – Non è uscito per due volte e quindi ho sbracciato. Quando ho dovuto alzare il tono della chiamata, questa variazione della voce ha fatto sì che il piattello mi sorprendesse. E quindi quello è stato uno zero gratuito. Io utilizzo un calcio molto corto e, per gestire il fucile con il massimo del controllo che posso esprimere, devo chiudermi attorno al calcio. E quando sono teso e anche stretto al calcio più del dovuto, questa posizione mi impedisce quella chiara chiamata che frattanto ho collaudato in questi anni. Il mio crinale tra il piattello colpito e lo zero è veramente molto stretto: basta un po’ di tensione in più per pregiudicare tutto ed è pertanto su questi aspetti che dovrò lavorare per le prossime prove.”

Ma nel caso della World Cup di New Delhi, di debutto si può parlare anche per Sandro Lecca: il paratleta quarantatreenne di Settimo San Pietro che è approdato al tiro a volo quattro anni fa dopo alcune importanti esperienze sportive nel kayak. Come racconta lo stesso Sandro Lecca, il tiro a volo è entrato nella sua vita quasi naturalmente perché in realtà il paratleta cagliaritano vive ad appena ottocento metri dalle pedane del Tav Settimo, anche se un’altra delle sedi del suo allenamento è il Tav Ortacesus in cui in questi anni è stato accolto con grande familiarità.

In PT1 il primo impatto di Sandro Lecca con la gara è stato molto difficile, ma con grande determinazione il paratleta sardo è riuscito a recuperare posizioni, ad accedere alla finale e a conquistare una preziosa medaglia d’argento alle spalle del campione del mondo Davide Fedrigucci.

“Anche per Sandro Lecca – commenta Riccardo Rossi – si trattava della seconda partecipazione internazionale in maglia azzurra, ma era comunque la prima Coppa del Mondo. Per Sandro quell’argento conquistato a New Delhi è davvero molto importante per il morale e per la crescita tecnica.”

Non è stato però davvero facile l’esordio in una gara così impegnativa per il paratleta sardo.

“Quando sono arrivato in India – spiega Sandro Lecca – mi sembrava di essermi dimenticato tutto quello che avevo fatto: nonostante l’esperienza di anni di pedana, sembrava proprio la prima volta che scendevo in gara. Ero veramente emozionato. Non sono stato ovviamente per niente felice del mio punteggio in qualificazione, ma tutto il team mi ha invitato a non mollare e sono riuscito a restare pienamente in gara. In finale ho pensato poi soltanto a fare squadra con Davide. Qualcuno mi ha detto che in fin dei conti essere arrivato in finale per me in questa situazione era già un successo. Diciamo però che a me non piace proprio uscire da sesto classificato nelle finali, quindi il primo moto di felicità dopo una gara difficile è arrivato proprio vedendo che in finale avevo superato il primo step.”

Il podio della PT1 con Davide Fedrigucci e Sandro Lecca ai primi due posti

“In questa trasferta l’emozione e la paura mi hanno certamente condizionato e quindi qualche errore si deve a quelle. Certamente ha avuto un ruolo anche la difficoltà della sede: quello di New Delhi è un campo con distanze ampie e qualche dislivello che non favorisce certamente gli atleti paralimpici. Un aspetto che mi ha poi certamente destabilizzato è stata l’esigenza di raggiungere l’impianto tutti insieme alla stessa ora indipendentemente dall’orario in cui avrei dovuto affrontare la mia pedana. E poi nel primo giorno di gara abbiamo sparato 75 piattelli in due ore e mezzo con uno sforzo fisico certamente forte.”

“In allenamento prima di partire – dice ancora Sandro Lecca – stavo oscillando tra il 18 e il 21. Diciamo quindi che mancano almeno dieci piattelli all’appello nella gara dell’India rispetto alle mie medie standard. Se dovessi riassumere però tutte le emozioni di questa gara, le sintetizzerei in quelle parole che mi hanno detto continuamente Sandro Polsinelli e Riccardo Rossi: osa e non avere paura! Polsinelli mi ha dato indicazioni davvero preziose. Continuava a dirmi: continua a lottare, perché se tu hai dato il massimo, vuol dire che hai fatto bene. E devo dire che in alcuni momenti, grazie a questi suggerimenti, mi sono sentito sportivamente cattivo. Poi mi ha aiutato tanto la vicinanza di Davide Fedrigucci che mi ha dato sicurezza: con lui in pedana non mi sono mai sentito solo. A conclusione di questa bellissima esperienza internazionale devo infine essere grato al Gruppo Paralimpico della Difesa che mi aiuta sotto tutti i punti di vista e alla Fitav che ha creduto nelle mie potenzialità.”

Ma l’Italia del Paratrap in questa prima trasferta internazionale del 2024 ha immediatamente calato gli assi e non a caso ha schierato i suoi campioni del mondo. Davide Fedrigucci, fresco del titolo iridato conquistato in Perù, ha saputo riconfermarsi leader della PT1 con 33/50 in finale davanti appunto allo stesso Sandro Lecca. Anche per il paratleta urbinate la World Cup dell’India è stata una tappa importante di preparazione in vista del confronto tricolore di maggio e dei successivi impegni a livello planetario.

Davide Fedrigucci (foto di repertorio)

“Per le condizioni generali della gara – dice Davide Fedrigucci – sono soddisfatto del risultato. Il campo è una bella struttura anche se la visibilità non è ottima: c’è una vegetazione folta sullo sfondo che non ti permette di definire bene il piattello allo sgancio e che ti fa perdere la percezione del bersaglio nel passaggio dalla tonalità scura della vegetazione al chiaro del cielo. Forse potevo far meglio in finale: nel primo step ad esempio ho fatto 18, ma ancora devo prendere le misure della stagione. Per la qualificazione il 21 di media era il punteggio che avevo previsto, ma in finale avrei detto di arrivare a 38 invece di approdare a 33. Sicuramente si potevano evitare i tre zeri nell’ultimo segmento che sono dovuti alla deconcentrazione per effetto di un’interruzione della gara.”

Naturalmente soddisfatto anche l’altro campione del mondo Gabriele Nanni che in PT3 ha centrato la conquista della medaglia d’oro stabilendo anche il nuovo record planetario in finale di 43/50.

“Direi: senz’altro bene anche a questo giro! – Precisa entusiasticamente Nanni – Sono entrato per primo in finale e poi mi sono superato stabilendo il nuovo primato. Questa volta ho sbagliato il penultimo piattello della finale, mentre altre volte avevo sbagliato l’ultimo. In realtà, come d’abitudine, in finale non avevo fatto calcoli, ma avevo intuito dall’andamento della gara che dopo aver rotto i primi due piattelli dell’ultimo segmento avevo già acquisito un discreto vantaggio, quindi lo zero al quarantanovesimo sarebbe dovuto risultare innocuo. Però ammetto che quando ho fatto quello zero ho guardato con prudenza il tabellone perché nella finale della World Cup di New Delhi ho avuto grande difficoltà a percepire il campanello, quindi avevo la sensazione di essere in vantaggio ma non avevo percezione dell’entità precisa di quel vantaggio. Perfino per lo start dovevo guardare la segnalazione dell’arbitro perché non riuscivo a sentire le comunicazioni che venivano diramate durante la finale.”

Gabriele Nanni (foto di repertorio)

“Diversamente dal Perù, – spiega ancora Gabriele Nanni – in questa Coppa del Mondo ho sparato bene anche in prova. Poi nella prima serie è uscito un 19 che ovviamente non mi ha soddisfatto e mi ha suggerito di stare ben attaccato alla gara nelle serie successive, anche perché i miei diretti avversari avevano fatto meglio. Infatti nella seconda ho risposto con un 24 che mi ha riportato subito in pista. Quel 19 è derivato sicuramente da un problema di concentrazione: ho fatto fatica a entrare in gara anche se le condizioni generali erano perfette. In qualifica accuso ancora molto il ruolo di atleta da battere: in finale invece riesco a esprimermi al meglio. Sarà che mi alleno molto ad un colpo e quindi ho molta fiducia nella mia prima canna: infatti vedere la seconda canna vuota che mi permette di intravedere la luce dalla volata mi trasmette molta sicurezza!”

Questa volta non è riuscito a centrare una medaglia Fabrizio Cormons, ma in India il campione del mondo di PT2 ha messo proficuamente a punto le proprie prerogative tecniche e agonistiche appunto in vista dei prossimi impegni.

Fabrizio Cormons (foto di repertorio)

“Il risultato è un po’ al di sotto delle mie aspettative. – Confessa Fabrizio Cormons – Ho sofferto un po’ la lunghezza del viaggio, il fuso orario e l’alimentazione. Anche il Perù era una trasferta lunga e faticosa, è vero, ma l’ho vissuta con più serenità. Sono arrivato a questa gara avendo sparato bene a tutte le prove del Campionato invernale del Lazio: in quel circuito ho fatto anche numerosi 25. Al raduno a Roma abbiamo fatto la simulazione della finale e ho fatto 44/50 a un colpo. E anche nella prova ufficiale in India ho sparato molto bene: ho fatto 21/25 ad un colpo. Nella finale della World Cup però mi mancavano le forze: in certo modo guardavo il piattello ma non mi decidevo a sparargli. L’ho detto anche a Riccardo Rossi: non ero cattivo come invece ero riuscito ad essere in Perù. Al Mondiale in Perù in finale avevo fame di rompere i piattelli: in India, invece, non sono riuscito a esprimermi nello stesso modo. D’altronde nello sport ci stanno gli alti e i bassi e occorre prendere in considerazione anche i risultati negativi per migliorarsi per la volta successiva.”