Atleti e coach: uno straordinario percorso di sport

Nella stagione che sta volgendo al termine l’Eccellenza di Skeet Alessio Bagnato ha affrontato un processo di “restyling” del suo ruolo di atleta e proprio grazie alla collaborazione con il mental-coach Giorgio Fabris ha conseguito importanti traguardi

(di Massimiliano Naldoni)

Al Campionato italiano di Skeet dello scorso settembre Alessio Bagnato (nella foto di copertina) si assicurò la ribalta dell’evento e l’attenzione di esperti e commentatori con il brillante 124/125 con cui l’atleta calabrese conquistò il dorsale numero uno nella finale che avrebbe poi laureato Giancarlo Tazza campione d’Italia della massima categoria per il 2023. Quel risultato del trentacinquenne di Catanzaro – che ha poi concluso al sesto posto al termine della gara del Concaverde – ha messo in luce anche le potenzialità del programma di preparazione che lo stesso Bagnato ha affrontato nell’arco della stagione grazie alla stretta collaborazione con il mental coach Giorgio Fabris: un processo di maturazione atletica che si è rivelato un vero e proprio “restyling” per lo skeettista calabrese che ha potenziato le sue già apprezzate doti tecniche. Abbiamo chiesto proprio ai due protagonisti/artefici di questa nuova modalità di preparazione di raccontarci qual è stato il programma di lavoro.

Coach Fabris, possiamo considerare l’exploit di Alessio Bagnato nel Campionato italiano di Skeet il suo traguardo più significativo di questa stagione?

Ci sono stati numerosi risultati importanti in questa stagione tra gli atleti che ho seguito come mental coach. Sì, l’esempio più brillante è certamente quello di Alessio Bagnato che ha conquistato la finale del Campionato italiano tra gli Eccellenza dello Skeet. Bagnato è un gran tiratore dal punto di vista delle doti tecniche: è un atleta naturalmente dotato che può star fermo tre mesi per poi tornare a imbracciare il fucile in mano e far subito 24. Tanto per ripercorrere un po’ di storia, posso dire che Alessio è un tiratore con cui avevo stabilito un rapporto di amicizia già da alcuni anni: avevamo fatto gruppo con alcuni tiratori della Calabria quando anche io facevo attività agonistica più assidua nello Skeet. Alessio ha compiuto con me un determinato percorso di preparazione e ha amplificato le sue potenzialità già nella scorsa stagione fino ad arrivare ai risultati di quest’anno che hanno davvero assunto un profilo significativo. La grande importanza del 124/125 che Bagnato ha ottenuto al Campionato italiano di Skeet è ancora maggiore se si considera che Alessio ha un impegno professionale anche intenso che inevitabilmente lo limita nell’attività sportiva. Fra l’altro quel 124 di Bagnato dello scorso settembre non è l’unico punteggio significativo di questa stagione, perché Alessio aveva collezionato altri punteggi della stessa portata nell’arco dell’anno.

Giorgio Fabris e Alessio Bagnato

Alessio, sei stato l’autore del miglior punteggio di qualificazione tra gli Eccellenza al Campionato italiano con 124/125: cosa è successo però dopo in finale?

Formulando un’analisi a mente lucida della finale del Campionato italiano, posso dire che la mia sensazione è quella di non essere riuscito ad entrare in gara. In sostanza non sono riuscito ad aggiornare la mia mente e i miei pensieri alla situazione come invece ero riuscito a fare perfettamente in ogni serie della qualificazione. Diciamo che quando ho affrontato quella finale ero distratto. Eppure sapevo anche di poter dare ancora molto in finale perché altre volte nell’arco dell’anno ho concluso altre finali magari con un 59/60 o con un 57, quindi ero consapevole di potermela giocare alla pari anche con i grandi nomi che erano in finale in quel caso insieme a me. Naturalmente non posso neppure trascurare che la circostanza mi ha creato un po’ di pressione a livello psicologico: è sempre una finale di Eccellenza al Campionato italiano e la situazione rappresentava certamente una situazione anche stressante. D’altronde, facendo un’analisi generale di tutto il 2023, sia al Gran Premio di Montecatini che al Gran Premio di Laterina avevo già sfiorato l’ingresso in finale: occorreva un 120 e mi sono attestato a 119. Il ragionamento mi porta a dire che la mia stagione ha molti aspetti positivi e sono riuscito a rispettare sostanzialmente una continuità di rendimento.

Alessio Bagnato nel corso della finale di Eccellenza al Campionato italiano dello scorso settembre

Coach Fabris, in che cosa consiste esattamente il suo lavoro?

Le potenzialità del coaching sono ampie e non è un caso che già tanti atleti del tiro a volo ne abbiano compreso l’importanza. Quello che forse non è ancora chiarissimo, ma che in realtà è lampante se si osserva quello che accade alle grandi atlete e ai grandi atleti di tutti gli sport, è che il mental coach fa un lavoro completamente diverso da quello svolto dall’istruttore tecnico. Sono due posizioni lontane e due compiti completamente diversi. Perché l’istruttore individua e valorizza le doti tecniche dell’atleta, mentre il mental coach individua le potenzialità della persona. L’importanza di questa sfera di azione è sintetizzata benissimo da una considerazione che formulò il Direttore tecnico della Nazionale di Skeet Andrea Benelli in una conversazione on line con me qualche anno fa: nell’attività di un atleta dello Skeet il 70% è prodotto della testa, il 30% è prodotto della tecnica. Per spiegare meglio voglio attingere ad un esempio estraneo al tiro a volo. Chi ha seguito le ATP Finals di tennis nelle ultime settimane avrà notato che il nostro Jannik Sinner che è entrato in campo in finale non era lo stesso Sinner che avevamo visto gareggiare nella precedente partita con Djokovic: e questo perché nel secondo caso aveva già raggiunto il suo obbiettivo di entrare in finale. Se mi posso permettere, nello sguardo di Sinner in quella seconda circostanza avevo letto quasi una sorta di rassegnazione. Oppure, se vogliamo leggerla in positivo: appagamento. La situazione di Bagnato nel Campionato italiano di cui abbiamo parlato prima è analoga. Anche Alessio aveva raggiunto il traguardo che si era posto: cioè entrare in finale al Campionato italiano. Questo ci dice anche che il lavoro di coaching in realtà non si conclude mai se si rinnovano continuamente gli obbiettivi da raggiungere.

Che cosa avviene nelle atlete e negli atleti quando si rivolgono ad un mental coach?

Abbracciare una nuova metodologia di preparazione vuol dire abbandonare tutti i vecchi ancoraggi, tutte quelle vecchie idee che in realtà non ti portavano ad ottenere il risultato e naturalmente molto spesso questo processo è molto faticoso per l’atleta. L’impostazione mentale non si allena in un giorno o in una settimana: ci vogliono anni per costruire una persona. Magari, però, ci sono elementi nel lavoro di coaching che raggiungono subito il risultato. Per altri aspetti invece ci vuole più tempo. Posso dire che personalmente questo è stato un anno di notevoli soddisfazioni. Abbiamo detto di Alessio Bagnato, ma ho lavorato e sto lavorando anche con un’atleta diciassettenne che ha ottenuto la promozione tra le Junior andando a conseguire anche una medaglia al Campionato italiano. Altri atleti di varie categorie e di varie specialità sono riusciti a centrare un podio nei rispettivi Campionati dopo che per anni avevano potuto soltanto sognare un piazzamento di quel tipo. Naturalmente atlete e atleti forniscono reazioni diverse anche in base alla loro età: dal mio punto di vista è certamente meglio elaborare determinate attitudini da giovani perché fra l’altro ragazze e ragazzi, che in parallelo allo sport frequentano la scuola, hanno un campo di ricezione molto più alto rispetto al quarantenne o al cinquantenne che potranno, sì, compiere ugualmente grandi passi, ma ovviamente in modi e tempi diversi.

Il Presidente federale Luciano Rossi e Giorgio Fabris

Alessio, come possiamo commentare quell’unico zero della tua gara di qualificazione al Campionato italiano?

Quello zero è maturato su una doppia della pedana 4 alla prima serie. Curiosamente anche in un’altra gara celebre del calendario stagionale la serie di esordio era stata un 23: un punteggio che in quella circostanza mi andava decisamente stretto perché sapevo di aver affrontato quella competizione con una condizione di forma molto buona. Ma di nuovo anche in quel caso potrei descrivere il doppio errore in quella serie dicendo di non essere riuscito a formulare il pensiero giusto al momento giusto. Sta di fatto che comunque in quel caso gli unici errori della gara sono stati quelli della prima serie e infatti ho concluso poi con 123/125. Qualcosa di analogo è poi accaduto appunto al Campionato italiano con quel 24 alla prima serie a cui ha fatto seguito una sequenza di 25. E questo spiega quanto l’atteggiamento mentale che si assume in gara sia perfino più importante della tecnica che spesso, quando si raggiunge un certo livello, è in realtà un dato ormai acquisito.

Alessio Bagnato

Coach Fabris, se dovesse riassumere in poche parole alcune prerogative del mental coaching, che spiegazione darebbe?

Il coaching specialmente nelle giovani atlete e nei giovani atleti instilla delle capacità di reazione apparentemente paradossali: ad esempio, imparare a perdere. Il coaching punta a convincerti che perdere non vuol mai dire perdere qualcosa, ma imparare qualcosa. Il momento della sconfitta diviene così un momento di altissimo insegnamento. Di nuovo per scendere all’esempio, la giovane atleta diciassettenne di cui parlavo nel nostro primo incontro mi disse testualmente: io so di poter fare molto di più rispetto a quello che sto facendo. E io pensai: perfetto, è il giusto modo di avviare il nostro lavoro. Perché il meccanismo funziona se dall’altra parte, quella dell’atleta, c’è un’autentica volontà di cambiamento. C’è ad esempio un momento dell’attività agonistica del tiro a volo che io descrivo sempre come fortemente indicativo dell’atteggiamento della giovane atleta o del giovane atleta ed è il momento dello zero. È tipico di molte e di molti gettare le cartucce con disappunto, se non addirittura con stizza, appunto dopo lo zero. Perché naturalmente lo zero provoca una reazione emozionale spesso scomposta. Quando avviene, io chiedo al ragazzo o alla ragazza di raccogliere i bossoli e continuo a chiederglielo fino a quando al piattello sbagliato l’uno e l’altra non reagiscono esattamente nello stesso modo in cui reagiscono di fronte al piattello colpito. Alla base di tutto io metto sempre la persona. Anzi, direi: innanzitutto la persona. Perché non puoi migliorare un atleta se non migliori la persona. E il senso di marcia di questo processo va proprio dalla persona all’atleta, mai viceversa. Perché nel senso contrario non funziona proprio: sarà sempre la persona che trasformerà l’atleta, mai l’atleta a trasformare la persona. Il bello del mio lavoro è che si lavora in realtà su piccole sfumature che portano il risultato e prima di suggerire agli altri come intervenire, un mental coach deve aver lavorato su sé stesso. E io ho lavorato sodo su di me.

Che tempi deve programmare l’atleta per vedere dei risultati?

Diciamo: almeno un anno di tempo. Precisiamo che Alessio Bagnato è partito già alto nel livello: è stato un Nazionale B e quindi un Eccellenza. Però se valuto i progressi che ha fatto l’atleta diciassettenne neo-Junior del Settore Giovanile di cui ho detto prima, ma anche un ragazzo di Terza categoria che sto seguendo come anche un altro atleta più maturo del Compak: ecco, loro in sei mesi hanno agguantato subito quei quattro o cinque principi che occorre portare in campo. E i risultati sono arrivati sotto forma di passaggio di categoria oppure di un podio. Tutti risultati che in precedenza non erano stati mai raggiunti. Che poi, del resto, per concludere: il traguardo non è soltanto vincere in senso stretto. Se ad esempio un ragazzo o una ragazza stazionano sempre intorno al quindicesimo posto e invece poi riescono ad accedere alle finali, anche se in quel preciso momento non andranno oltre quel risultato si tratterà comunque di un progresso tangibile che recherà grande soddisfazione a quell’atleta.

Giorgio Fabris