Mille storie dalla Fossa Olimpica

Il Direttore tecnico Albano Pera, Silvana Stanco, Giovanni Pellielo, Maria Lucia Palmitessa, Massimo Fabbrizi, Giulia Grassia e Lorenzo Ferrari raccontano la loro Coppa del Mondo di Lonato

(di Massimiliano Naldoni)

Lungo il disimpegno del Tav Carisio lo scorso lunedì 25 aprile l’australiano James Willet e Giovanni Pellielo, entrambi reduci dalla prova di Coppa del Mondo di Lonato, si sono incrociati tra una batteria e un’altra nelle fasi conclusive del primo Memorial dedicato a Giancarlo Lucchiari: il fondatore dell’impianto vercellese in cui il Johnny nazionale a suo tempo si è agonisticamente forgiato. Che la fama e la celebrità del campionissimo azzurro abbiano raggiunto ogni angolo del mondo e quindi proverbialmente anche gli antipodi, non è davvero soltanto un modo iperbolico di dire perché Willet, in quel breve scambio di battute intrattenuto con Johnny, ha confessato che fino da quando ha mosso i suoi primi passi nel mondo del tiro a volo la sua fonte di ispirazione era stata proprio Pellielo. E in quel fugace dialogo al fuoriclasse piemontese James Willet ha precisato che dopo averlo visto di nuovo in gara in quella giornata non avrebbe cercato da nessun’altra parte: il suo mito incontrastato di atleta era e resterà per sempre Giovanni Pellielo.

Giovanni Pellielo

“Non posso che essere enormemente felice – precisa il pluricampione di Vercelli – che un campione dell’attuale panorama mondiale come James Willet mi riveli di essere stato il suo punto di riferimento. Da parte mia, sono convinto che esistano due modi di intendere lo sport. Ci sono quegli atleti che inseguono sempre e soltanto la medaglia e ci sono invece quelli che sono alimentati da un fuoco interiore e dalla passione per la propria disciplina sportiva e che, in sintesi, vogliono fare quello che amano. Io so per certo di appartenere alla seconda schiera: da sempre. Ed è soltanto se avviene questo che un campione, anche più giovane di te e destinato ancora a tanti successi, ti fermerà lungo il disimpegno di un campo e ti tributerà la sua ammirazione.”

“Io non ho mai avvertito la mia pratica sportiva preferita, cioè ovviamente il tiro a volo, come un obbligo. – Precisa Giovanni Pellielo – Sì, d’accordo, ogni sport che pratichi ad altissimo livello agonistico impone inevitabilmente calendari da rispettare e scalette rigorose di tempi e scadenze, ma io ho sempre vissuto il mio sport con il senso della libera volontà di sparare, non con l’obbligo di sparare. Entrare in pedana per me è sempre un momento di grazia straordinaria: una gioia che condividi con gli altri atleti. Perfino il lockdown durante la pandemia mi ha permesso di fare qualche importante riflessione su questo tema e di appropriarmi totalmente del tempo che ho potuto dedicare in maniera esclusiva al mio sport. In sostanza: anche adesso a cinquantadue anni di età io avverto chiaramente quel fuoco divorante per il mio sport che percepivo già con la stessa chiarezza quando ero un giovane esordiente del mondo del tiro a volo. Dopo decenni di carriera ho ancora un obbiettivo ben preciso: voglio divertirmi con il tiro a volo come sono sempre riuscito a fare e voglio insegnare agli altri a divertirsi con il nostro sport!”

Giovanni Pellielo in azione

“Non esito a dire – conferma il fuoriclasse piemontese – che sono approdato a questo nuovo impegno della prova di Coppa del Mondo di Lonato con rispetto e umiltà e anche con un velo di paura, ma a conclusione di questo test mi dico soddisfatto del mio risultato. Certamente c’è un po’ di amarezza per l’esclusione dalla finale. Non posso sottrarmi dal confessare che questa finale a mio avviso non permette agli atleti di esprimersi compiutamente. Io ho gareggiato con tutti i modelli di finale adottati in questi ultimi trent’anni e certamente ci sono state anche altre tipologie di gara sulla cui attendibilità non concordavo. Questa sicuramente non è la finale che premia il valore autentico degli atleti che consiste nella capacità di resistenza, nella forza e nel grado di preparazione. Tuttavia a Lonato c’erano settantuno nazioni e tutti gli atleti più forti dell’attuale panorama e io sono riuscito ad esprimere quel fuoco agonistico di cui dicevo prima: è un responso che mi infonde grande coraggio e fiducia.”

Chi certamente vorrebbe ogni volta veder coincidere la “vis agonistica” con il risultato tangibile delle medaglie è ovviamente il Commissario tecnico Albano Pera che valuta a tutto campo l’esito della World Cup del Concaverde. In questo senso è lapidario il selezionatore toscano.

“Io dico sempre: se non siamo obbiettivi, anzitutto con noi stessi, non si cresce. E un dato è certo: non abbiamo conquistato le medaglie individuali che sono quelle delle gare olimpiche. Ma attenzione: so per certo che tutte le atlete e tutti gli atleti della squadra hanno profuso il massimo impegno. Del resto l’avevo indicato a tutte e a tutti che avrei concentrato la mia attenzione sul risultato ai 125 piattelli e quindi è sul quel responso che faremo insieme le nostre valutazioni.”

“Ho visto un Mauro De Filippis confermare ancora una volta la sua forza con un 122 che è stato il punteggio più alto delle qualificazioni e considero di buon livello i 118 di Giovanni Pellielo e Valerio Grazini. Una bella sorpresa è arrivata da Alessia Iezzi che dopo lo stop della maternità ha inaugurato il ritorno all’attività agonistica proprio con questa gara realizzando il punteggio che l’avrebbe proiettata in semifinale; ho inoltre apprezzato il bel recupero che ha saputo fare Lucia Palmitessa nella seconda parte della sua gara. Lorenzo Ferrari, campione italiano in carica, sicuramente ha fornito una prova un po’ al di sotto delle sue reali possibilità, ma il sottotono della sua prestazione era da mettere in conto perché gareggiare in casa, davanti ad amici e parenti, in un test importante come una prova di Coppa del Mondo è sempre molto difficile, specialmente per un atleta giovane.”

Maria Lucia Palmitessa

“Quando le mie atlete e i miei atleti – precisa Albano Pera – mi parlano di medaglie anche importanti come quelle del confronto a squadre, io sono contento, certo! Però non posso astenermi dal ripetere che quelle gare e quelle medaglie non fanno parte del programma olimpico. Tant’è che abbiamo gareggiato in quelle competizioni a squadre in questa occasione perché era legittimo onorare la gara che si svolgeva in Italia con la nostra partecipazione di nazionale azzurra, ma a quelle gare, nelle Coppe del Mondo che disputiamo altrove nel mondo, non partecipiamo perché lo reputo un inutile dispendio di energie.  E reputo quelle medaglie, mi si passi il termine, delle medaglie di consolazione e noi, invece, dobbiamo cercare le medaglie che contano e che ci servono per crescere e fortificarci! La gara a squadre e il mixed team le rifaremo agli Europei e ai Mondiali poiché c’è un titolo in palio.”

“Ripeto con convinzione – dice ancora Albano Pera – che tutte le ragazze e tutti i ragazzi si sono impegnati al massimo in questa gara. Uso un termine che a qualcuno parrà ruvido: occorreva essere più cinici e concretizzare quell’impegno che c’è stato in una medaglia. Alcune atlete e alcuni atleti hanno vissuto questo test con molta tensione e si sa che la tensione può essere una fonte di energia ma sappiamo anche bene che se non la controlli, sarà la tensione a controllare te. Dal primo allenamento che abbiamo condotto a gennaio abbiamo provato, nei vari raduni, la nuova formula di semi finale e finale e ne conosciamo le possibili insidie. Al Gran Premio, proprio a Lonato, avevo ricevuto impressioni buone dalle atlete e dagli atleti che sarebbero stati impegnati nella Coppa del Mondo. Fra l’altro dobbiamo essere grati alla dirigenza del Concaverde per averci permesso di testare i campi e i lanci con la nuova formula nelle settimane che hanno preceduto il Gran Premio Fitav e la Coppa del Mondo. Da ogni gara si riceve sempre un prezioso insegnamento per gli impegni successivi e sono certo che sapremo utilizzarlo per i prossimi appuntamenti, considerando che siamo ancora all’inizio della stagione agonistica.”

Maria Lucia Palmitessa in azione

“Non sono certamente ancora al massimo della forma – sintetizza Silvana Stanco il responso della World Cup di Lonato – e mi è mancata la sicurezza per fare il risultato. Sì, è vero: neanche a Cipro ero certamente al top, visto che si parla addirittura di qualche settimana prima di questa Coppa del Mondo del Concaverde, però c’è stato quel 25 dell’ultima serie che mi ha lanciato in finale e mi ha dato un’energia pazzesca. Invece a Lonato l’esito del primo giorno mi ha proprio tagliato le gambe. Vedevo chiaramente l’errore, ma non riuscivo a intervenire per correggere quell’errore: vuol dire che c’è ancora molto lavoro da fare per arrivare allo stato di forma che servirà per gli appuntamenti importanti.”

“La finale del quadriennio di Tokyo era molto bella: questa decisamente meno. Giudico positivo che siano otto le atlete e gli atleti che accedono alla fase finale: a Cipro per me è stata un’opportunità perché ero appunto ottava. Ma è evidente che con questa formula in una semifinale puoi risultare eliminata magari con un punteggio che nell’altra semifinale promuove invece alla finale. E abbiamo visto che questo avviene in ogni gara. Non è un caso: è proprio la regola!”

“Nella gara a squadre – dice ancora Silvana Stanco – con Lucia Palmitessa e Giulia Grassia abbiamo fatto certamente una bella prova. Sono molto contenta del punteggio in qualificazione e anche della solidità che abbiamo dimostrato nello shoot-off con la Spagna. In finale la vittoria era un traguardo non impossibile: potevamo farcela anche se questa Australia di Catherine Skinner, Laetisha Scanlan e Penny Smith è davvero una squadra fortissima. Nel confronto con queste tre atlete titolatissime la medaglia d’argento che abbiamo ottenuto è senz’altro un bel risultato.”

Massimo Fabbrizi non nasconde un po’ di amarezza per il responso della gara individuale.

“Mi sentivo in forma e in prova avevo sparato molto bene. Poi però in gara ho capito subito quanto fossero impegnativi i piattelli di questa gara e qualcosa non ha funzionato nel modo giusto. Ci si è messa anche qualche variazione di luce nel corso della gara a complicare il lavoro e a togliermi qualche sicurezza. D’altronde sono entrati in finale i 118, quindi è evidente che le difficoltà non le ho avvertite soltanto io.”

“Una bella emozione – spiega Massimo Fabbrizi – l’ho sperimentata nella gara a squadre. Ho sentito un bel sostegno da parte del pubblico e quella è stata una provvidenziale iniezione di fiducia. Da questa gara ho ricevuto la conferma che riesco ancora decisamente a stare bene in partita. Sono riuscito a gestire altrettanto bene la tensione e l’apprensione per il ritorno in squadra dopo un periodo di presenze saltuarie in nazionale, quindi il giudizio in generale su questo mio test è positivo.”

Anche Giulia Grassia, pur considerando sia le luci che qualche ombra di questo debutto in azzurro a Lonato, formula un buon giudizio della sua prova.

“È stato molto emozionante esordire in Nazionale in questa gara e senz’altro la pressione psicologica di vivere un’esperienza così carica di emozioni accanto a tiratrici fortissime mi ha un po’ condizionato. Però so di aver controllato bene il carico emotivo. Non sempre, certo! Il 18 della prima giornata rappresenta proprio un momento di cattiva gestione delle emozioni, però anche in quel momento non ho mai mollato e se anche mi sono accorta, come in quel caso, che avrei completato la serie con un punteggio modesto, ho sempre cercato di dare il mio meglio fino alla fine.”

“Nella gara a squadre, come si dice, ho invece resettato la centralina e sono partita con una impostazione mentale nuova: diversa, più salda. Nello shoot-off con la Spagna, ad esempio, sono partita per prima e sono riuscita a tralasciare tutto il peso psicologico della gara individuale. Inutile che torni a ripetermi che ho fatto bene in allenamento e anche al Gran Premio Fitav una settimana prima della Coppa del Mondo: so che questi passaggi con luci e ombre sono tipici dell’attività sportiva. È un percorso che hanno fatto tutti e accetto la situazione preparandomi al momento in cui anche io saprò controllare perfettamente ogni mia emozione.”

Anche Lorenzo Ferrari ha dovuto fare i conti con le vibrazoni emotive determinate da una gara importante al fianco di due leggende del Trap italiano e mondiale come Giovanni Pellielo e Massimo Fabbrizi.

“Una Coppa del Mondo sulle pedane in cui ti sei formato e in cui gareggi e ti alleni di consueto è emozionante sotto tutti gli aspetti, – dice il campione italiano di Eccellenza – ma mi sono imposto di dare sempre il massimo e di non mollare mai sia nelle prove ufficiali che in gara e sicuramente ci sono riuscito. Avevo gareggiato in casa in gare importanti come l’Europeo, però da Junior puoi permetterti qualche zero in più e non sei sottoposto allo stesso tripo di pressione psicologica. Mi ha sorpreso semmai un po’ trovarmi in difficoltà nelle partenze: ho cercato però ogni volta di conservare la concentrazione e quindi, pur con qualche avvio difficile della serie, nessuna delle serie è risultata disastrosa. Non ho davvero mai mollato e non ho mai perso il filo: lo dice il fatto che ero cinquantesimo alla fine della prima giornasta e al termine delle qualificazioni sono risalito di venticinque posizioni trovandomi poi in realtà soltanto a tre piattelli dalla finale.”

“Nella gara a squadre – dice ancora Lorenzo Ferrari – è stata davvero una grande emozione trovarsi in gara con due campioni come Giovanni Pellielo e Massimo Fabbrizi. La loro presenza in qualche momento è stata davvero determinante. Ad esempio mi ero un po’ smarrito al primo giro, proprio alla partenza. Ma poi abbiamo vinto il set perché i miei compagni di squadra sono stati veramente delle rocce. Mi ha incoraggiato molto la loro presenza e grazie a loro ho ritrovato concentrazione e determinazione.”

“La partecipazione a una Coppa del Mondo non è certamente un punto di arrivo: è soltanto un punto di partenza. Ho fatto esperienza: anche e soprattutto degli errori. Ho capito ad esempio che proprio nell’avvio della serie si verifica qualche problema con il campo visivo: lo sguardo vaga, non sempre si allinea alle canne e questo produce inevitabilmente qualche problema. Proprio sulla base dell’esperienza acquisita anche in questa Coppa del Mondo potrò lavorare su questi problemi per correggerli.”

“Alla prima serie avevo il cuore in gola e mi tremavano le gambe – confessa Maria Lucia Palmitessa – ed è per quello che mi sono ritrovata subito a fare troppi zeri e certamente anche troppe seconde canne. Ma a quel punto mi sono detta energicamente che la gara non era finita, che anche altre atlete quotate che erano in gara non erano uscite benissimo dalla prima serie e che potevo contare su un’ottima preparazione fisica e psicologica che avevo fatto in vista di questa gara. Non potevo decisamente sbagliare nella seconda giornata: non ho fatto i conti, sono andata a testa bassa e infatti sono riuscita a entrare in semifinale.”

“Certamente questa finale mi piace meno di quella con cui abbiamo gareggiato nel quadriennio di Tokyo. Con questa formula i tempi sono molto stretti per noi atlete e probabilmente invece un po’ troppo lunghi per il pubblico. Quanto al responso della mia semifinale, posso dire che era un girone di ferro. L’ho affrontata anche con relativa tranquillità, poi, però qua e là è riapparso qualche fantasma che mi ha tolto lucidità e concretezza.”

“Mi sono certamente divertita di più nella gara a squadre. – Conferma Lucia Palmitessa –  Abbiamo lottato con tutte le nostre forze per agguantare la vittoria con una squadra fortissima e anche se non siamo riuscite a vincere, resta una bella impresa. Una medaglia d’argento è sempre una medaglia d’argento! E poi mi piace molto il gioco di squadra: mi piaceva già quando ero alla scuola media e giocavo a pallavolo. E anche dopo quando ho iniziato a giocare a minibasket. Che voto darei complessivamente a questa mia Coppa del Mondo? Be’: un 7 ci sta tutto!”