La parola ai Tecnici: Sandro Bellini

Intervista al Commissario Tecnico del Settore Giovanile dello Skeet

(di Massimiliano Naldoni)

Sandro Bellini è il Commissario Tecnico a cui il Consglio federale all’inizio dell’anno ha affidato le sorti del Settore Giovanile dello Skeet. Al tecnico pistoiese, che è stato allievo e poi stretto collaboratore dell’indimenticato campionissimo Bruno Rossetti e che è tuttora agonista di buon livello, abbiamo rivolto alcune domande.

D: Coach Bellini, come ha accolto questa importante investitura a responsabile del comparto under 20 dello Skeet?

R: “Naturalmente con immenso piacere! Sono davvero molto grato al Presidente Luciano Rossi e al Consiglio federale per aver affidato a me questo incarico. Questa novità mi ha subito trasmesso una grande forza e, come ho l’abitudine di dire, mi ha proiettato lo stato d’animo a mille.”

D: Che cosa produrrà questo nuovo assetto tecnico nel comparto giovanile dello Skeet?

R: “Innanzitutto va detto che sicuramente si presentava la necessità di impostare il lavoro in maniera nuova, ma naturalmente con il pieno rispetto di quanto era stato fatto prima e anzi: in logica successione con quello che era stato compiuto in passato nel Settore Giovanile. Io interpreto questo provvedimento come un segnale importante: si attribuisce piena autonomia sia ai Direttori Tecnici che si occupano dei PO che ai Commissari Tecnici degli Azzurri e del Settore Giovanile e in questo modo ognuno di noi è responsabile del proprio comparto e può programmare il proprio lavoro per poi naturalmente risponderne davanti al Consiglio. Un aspetto per me importantissimo è stato ricevere piena fiducia da Andrea Benelli con il quale del resto mi lega un’amicizia di antica data. Con Andrea c’è stima reciproca e anche la condivisione di molte idee e criteri di lavoro e questo mi convince che si sta creando un bel gruppo e si sono definiti i presupposti per un buon lavoro di squadra. Ma sono ad esempio in contatto costante anche con Daniele Di Spigno che lavora in parallelo con il Settore Giovanile della Fossa Olimpica, quindi intendo privilegiare il continuo interscambio di idee con i miei colleghi.”

D: Come intende impostare il lavoro nei confronti delle atlete e degli atleti?

R: “Nella mia esperienza di allenatore ho sempre cercato di entrare nella testa dell’atleta: che ritengo sia anche un segno di umiltà che non stona davvero nel ruolo di Ct. Si tratta di riconoscere l’individualità di ogni sportiva o sportivo e partire proprio da quelle caratteristiche specifiche. Voglio costruire questa squadra sulla base del rispetto reciproco e in questo programma l’interazione continua tra me e loro diviene fondamentale.”

D: Da parte delle atlete degli atleti che reazione ha registrato?

R: “Segnali molto importanti e incoraggianti. Ho riscontrato in molte e molti di loro una voglia matta di imparare e questo è davvero un bel punto di partenza. Quando finiamo un raduno, in realtà sia io che loro non vediamo l’ora di trovarci di nuovo al raduno successivo. Certamente vedo anche dei graduali ma rapidi cambiamenti in queste ragazze e in questi ragazzi: è tipico dell’età ed è un fenomeno a cui si deve abituare chi lavora con un Settore Giovanile. Mi conforta il lavoro che ho fatto alcuni anni fa con i ragazzi della Toscana: abbiamo iniziato con cinque elementi e nel tempo sono divenuti diciannove. È il segno che quel tipo di lavoro agitava positivamente le menti anche di altre atlete e altri atleti e suggeriva loro di unirsi a quel gruppo.”

D: In questi anni c’è stato un Sandro Bellini molto internazionale che ha certamente maturato esperienze formative di alto livello.

R: “Certamente! Il lavoro con la nazionale della Francia e con la campionessa slovacca Danka Bartekova sono stati episodi davvero determinanti per il mio lavoro: ho avuto la possibilità di mettermi alla prova come allenatore, di verificare la corretteza di alcune mie idee e anche di apprendere tanto. Avere a che fare con atlete e atleti provenienti da “scuole” diverse costringe a confrontarsi continuamente con il nuovo e ti convince che è necessario capire le persone con cui si lavora prima ancora di impostare il lavoro stesso. Arriva certamente da lì quell’immagine che ho voluto esprimere prima: quella mia volontà di entrare nella testa dell’atleta per comprenderne le caratteristiche specifiche.”

D: Quanto c’è di Bruno Rossetti nel lavoro che sta svolgendo adesso?

R: “Evocare Bruno significa parlare dell’atleta e del maestro che nei confronti della mia carriera e del mio lavoro ha avuto un ruolo incommensurabile. E in tutta sincerità, anche solo parlare di Bruno mi coinvolge tuttora a livello emotivo in maniera fortissima. Quello che per me ha significato e anche adesso significa aver incontrato Bruno Rossetti e aver lavorato in pedana con lui lo descrive meglio di mille parole una mia abitudine. Alle mie ragazze e ai miei ragazzi, durante le lezioni o i raduni, per spiegare qualsiasi cosa ripeto continuamente: su questo aspetto Bruno mi diceva sempre… So che probabilmente suonerà quasi strano alle mie atlete ai miei atleti questa insistenza sull’attendibilità di un concetto o di un aspetto tecnico che io esprimo attraverso la testimonianza indiretta di Bruno, ma occorre comprendere che Bruno in pedana non diceva mai niente per caso. Per questo io l’ho sempre ascoltato con profonda attenzione: perché anche in una semplice conversazione che non aveva necessariamente il significato formale di una lezione, Bruno Rossetti era in grado di impartirti una o due nozioni che potevano improvvisamente illuminarti. Lo Skeet è cambiato molto in questi ultimi trent’anni: basta considerare soltanto la sequenza dei lanci che si affrontano e le distanze delle traiettorie. Però gli insegnamenti di Bruno sono sempre assolutamente validi e attuali.”

D: Sbagliando si impara, ascoltando i maestri ancora di più: mettendola in maniera molto schematica e lapidaria è questo in effetti il suo pensiero in termini di didattica?

R: “Possiamo dire che è proprio così. Alle ragazze e ai ragazzi della mia squadra dico sempre che l’errore deve servire per progredire e questo deve incoraggiarli a non temere mai di sbagliare. Ascoltare è poi l’altro elemento importante. Io ho avuto la fortuna di crescere come atleta e poi come allenatore in un’epoca di campioni straordinari. Di Andrea Benelli ho sempre apprezzato quella che, con le dovute virgolette, chiamavo: cattiveria agonistica. Cioè: quella grinta inestinguibile con cui Andrea interpretava ogni gara. Di Ennio Falco ho ammirato prima di tutto quella sua ferrea volontà di migliorarsi e poi la determinazione di rimettersi in gioco in ogni momento. Bruno Rossetti, in senso esclusivamente tecnico, si sintetizza per me nella semplicità del gesto. Togli allo Skeet tutto il superfluo e resta l’essenziale: che era il gesto in pedana di Bruno. Si sa che i giganti dello sport tra loro si riconoscono: magari si temono, ma certamente si stimano sempre. So che quando Bruno arrivò in Italia Ennio Falco disse energicamente a Andrea Benelli che avrebbero dovuto intensificare l’allenamento, l’impegno e il lavoro in pedana perché Rossetti era davvero forte. In Italia abbiamo vissuto stagioni davvero incredibili con questi campioni in circolazione. Spero di trasmettere alle mie ragazze e ai miei ragazzi il valore di questa eredità che adesso ci troviamo a raccogliere e a tramandare.”