Jessica Rossi: a Rabat il mio centro di gravità

La vice-campionessa del mondo ha centrato l’oro alla prima uscita stagionale sulle pedane del Marocco, ma Rabat è realmente una pietra angolare per la preparazione della fuoriclasse emiliana: ecco il racconto della vittoria dalle sue stesse parole

(di Massimiliano Naldoni)

Jessica Rossi ha già impresso il suo originalissimo sigillo sulla stagione agonistica 2024 di Fossa Olimpica: alla World Cup di Rabat ha composto il miglior punteggio di qualificazione (un 116/125 che dice eloquentemente delle difficoltà oggettive delle pedane della capitale del Marocco) e ha perfezionato l’affermazione nella prima uscita dell’anno con 42/50 nella finale in cui l’azzurra ha svettato precedendo sul podio la sammarinese Alessandra Perilli e l’americana Ryan Paige Phillips. Ma se la stagione di Jessica è iniziata da Rabat, c’è una ragione ben precisa ed è la stessa vice-campionessa del mondo a raccontarlo.

Jessica, com’è nata la decisione di far iniziare la tua stagione 2024 dalla Coppa del Mondo di Rabat?

Volutamente siamo andati a Rabat perché anche nel 2023 la Coppa del Mondo in Marocco è stata la prima gara della stagione, ma è stata soprattutto la prima uscita internazionale con Marco Conti nel ruolo di Direttore tecnico della Nazionale. E quella prima Coppa del Mondo del 2023 è stata il momento che ci ha permesso di confrontarci su aspetti tecnici su cui abbiamo poi lavorato per tutto il 2023. Mi ricordo che Marco continuava a dire che quello di Rabat è un campo in cui occorre sparare con le canne un po’ più alte del normale: che è un’impostazione che io non sono abituata ad adottare. Sta di fatto che un anno fa in quella gara e in quel campo ho incontrato grosse difficoltà. Forse anche proprio per quello, quando abbiamo iniziato a programmare questa stagione la prima impressione che ci siamo detti è stata: torniamo a Rabat. Era appunto il campo che un anno prima ci aveva messo davvero in difficoltà e a questo punto volevamo tornare lì per testare il lavoro fatto e per capire se la situazione era migliorata. E direi che alla luce del risultato è andato tutto nel migliore dei modi.

Nella Coppa del Mondo di quest’anno in prova ti eri attestata già sui punteggi che hai poi rispettato in qualificazione?

Avevo sparato molto bene in allenamento, quindi sono entrata in gara relativamente serena. Sappiamo tutti per certo che l’andamento dell’allenamento non ti comunica esattamente se la gara andrà bene o male, però è altrettanto vero che con un buon risultato in allenamento vai in gara con una certa tranquillità.

In qualificazione alla quarta serie sei uscita con un 21 che stona un po’ con il bel ritmo generale della tua gara: che cosa è successo?

Il campo in cui ho sparato quella quarta serie, alle nove e mezzo della mattina, proponeva immensi problemi di visibilità: con il sole a destra che impediva di individuare bene i piattelli. In ogni caso so di aver reagito a questi inconvenienti molto meglio che in altre situazioni: ad esempio nell’arco del 2023 alcune difficoltà di questo genere avevano prodotto un black-out totale. Questa volta a Rabat invece non c’è stato il black-out: la quarta è stata, sì, una serie difficile, però dalle difficoltà sono riuscita a uscire limitando i danni con un 21. Considerando le difficoltà del campo e i grandi problemi della visibilità, con Marco Conti abbiamo dato una valutazione tutto sommato positiva al risultato di quella serie. Ed è una valutazione che deriva appunto dal fatto che in effetti sono riuscita a gestire bene quella situazione critica. D’altronde non siamo al top della forma e qualche incertezza qua e là si può verificare. Il mese di febbraio non è ancora il momento giusto per raggiungere la forma migliore e dobbiamo fare i conti con queste situazioni.

116/125 era il punteggio che ti aspettavi dalla qualificazione a Rabat?

L’anno scorso avevo fatto 110 ed ero rimasta fuori dalla finale per un piattello. Questo ci fa capire che il campo è difficile e i punteggi che si possono produrre su quel terreno sono sempre piuttosto bassi. È un campo in cui non puoi pensare di fare il cosiddetto punteggione e quindi il risultato di qualificazione della mia gara più recente è perfettamente in linea con le condizioni di quel campo.

Tra i pochi momenti critici della tua gara di Rabat c’è sicuramente la bicicletta della finale: due zeri consecutivi su due destri. C’è una spiegazione tecnica per quegli errori?

Anche in una bella finale come ho fatto in questa Coppa del Mondo, arrivano due zeri così… Vale di nuovo quello che dicevo prima: non siamo ancora al top della forma e quindi qualche zero in più, per motivi anche banali, si può produrre durante la gara.

Che tipo di reazione hai messo in campo in quel momento?

Nel caso di questa bicicletta di Rabat posso dirmi contenta del modo in cui ho gestito la situazione perché appunto nella stagione scorsa in alcune finali in casi del genere c’era stato proprio il buio totale. Un anno fa sarebbe stato forse impensabile recuperare immediatamente dopo una bicicletta come quella. Invece questa volta sono riuscita a cancellare i due zeri e ripartire con una nuova testa. Chiunque riveda adesso le immagini di quella finale potrà notare che dopo il secondo zero mi sono tolta le cuffie come per interrompere quel momento negativo. Sono tutti gesti che aiutano a ripartire idealmente da zero: che permettono di contrastare il momento negativo per effettuare una ripartenza. I problemi che avevo riscontrato nel corso della scorsa stagione consistevano proprio nella difficoltà di reagire all’evento negativo dell’errore o addirittura del doppio errore e quindi sono soddisfatta della reazione che invece questa volta sono riuscita a mettere in campo.

Dopo l’oro di Londra nella tua storia agonistica ci sono tre vigilie di Olimpiade: quella prima di Rio, quella che precede Tokyo e quella attuale in vista di Parigi. Che differenze ci sono tra i tre momenti? E soprattutto: possiamo anche dire che il momento attuale è il migliore dei tre?

Se consideriamo i risultati, sicuramente quello attuale è il migliore dei tre momenti. A voler andare molto indietro nel tempo, anche nei mesi prima delle Olimpiadi di Londra, compresa proprio la Preolimpica, non avevo sparato bene. Sicuramente in questi anni ho imparato a gestire meglio i picchi di massima forma e i picchi di bassa forma. Ma dobbiamo dire che la preparazione è anche cambiata molto in questi quadrienni perché prima la stagione finiva a ottobre e adesso invece sono già due anni che la stagione finisce ai primi di dicembre e ai primi di gennaio dobbiamo riprendere l’attività. Quindi adesso non c’è neppure più quel periodo lungo di stacco invernale che separava in modo netto le stagioni: siamo praticamente sempre sotto allenamento. Questo da un lato è uno svantaggio perché circoscrive molto i tempi di recupero, però probabilmente mi ha permesso di gestire bene il passaggio tra la scorsa stagione e questa appena iniziata proprio perché in realtà ci sono stati soltanto venti giorni di stop effettivo. Guardando ancora indietro posso dire che l’avvicinamento a Rio è stato un periodo tecnicamente molto brutto per me perché arrivavo da un anno, il 2015, totalmente senza risultati. Mentre invece l’avvicinamento a Tokyo è stato positivo e infatti so di essere riuscita ad arrivare alle Olimpiadi più recenti con un ottimo stato di forma. È vero, sì, che a Tokyo non sono riuscita ad entrare in finale, ma in gara ho fatto un 119 che ci dice che il mio programma di costruzione dello stato di forma era corretto.

Nessun dubbio, però, che il 2023 sia stata davvero una stagione di svolta che ci ha proposto una Jessica con nuove e più forti motivazioni…

È stata certamente una stagione bella dal punto di vista dei risultati, però anche nelle gare che sono andate bene ci sono state delle ombre. Prendiamo, ad esempio, il Mondiale: ho fatto 119 in qualificazione, ho poi conquistato la medaglia d’argento e quindi il bilancio è molto positivo. Ma in quella gara ho avuto momenti di difficoltà e soprattutto non sempre sono riuscita a gestirli bene. Fare 119 con un 19 e quattro 25 non è certamente normale: sono quelle le situazioni sulle quali devi andare a lavorare. Se volevamo un esempio di black-out vero e proprio, ecco che quella quarta serie del Mondiale è proprio l’esempio perfetto. In quel caso ti rendi conto che la tua testa, a fronte di alcuni inconvenienti, proprio non ragiona. E non puoi rifugiarti dietro il problema tecnico, perché fare 119 con un 19 e quattro serie piene non configura un problema tecnico, ma un problema a livello mentale. Ed è proprio in quella direzione che stiamo lavorando con Marco Conti per perfezionare il nostro percorso verso le Olimpiadi.

Foto: Issf