Tammaro Cassandro: in Marocco una gara da applausi
Il casertano è stato il dominatore nello Skeet alla seconda tappa del circuito Issf a Rabat, ma già a Il Cairo aveva fornito indizi di una condizione ottimale: ecco il racconto della sua impresa
(di Massimiliano Naldoni)
Giunto ad un passo dalla finale nella World Cup de Il Cairo che ha inaugurato la stagione agonistica internazionale 2024, Tammaro Cassandro al policampo di Rabat – nella seconda tappa del circuito Issf – è stato autore di una di quelle gare che entrano a buon diritto nei manuali. In quel confronto Tammaro ha dominato con un punteggio stellare davanti ad un avversario a sua volta leggendario: Vincent Hancock. Ma è proprio dalle parole del casertano che si comprende come una grande impresa, quantomeno nello Skeet, sia in realtà sempre una costruzione paziente e millimetrica.
Tammaro, possiamo definire quella di Rabat la gara perfetta?
La gara è stata bellissima fino dalle serie di qualificazione. Dopo la prima serie del 24 ho parlato con Andrea Benelli che mi ha detto subito: per me stai sparando molto bene. E quella frase mi ha fornito quel livello in più di fiducia che mi è servito molto nel resto della gara. E infatti dopo quella serie ho fatto 100/100 nelle altre quattro serie e poi il 59/60 della finale.
Che zero è stato quello della prima serie di qualificazione?
È arrivato al ventitreesimo piattello: alle doppie alla pedana 4.
Tecnicamente come lo spieghi?
Forse sono andato un po’ troppo sicuro su quella pedana. Credo che sia l’unica spiegazione perché quando ne ho parlato con Benelli anche lui concordava che il tempo era giusto.
Parliamo di quell’unico zero in finale: è un piattello controverso, non a caso anche tu hai fatto un accenno di obiezione al giudizio del referee.
Ho sentito Andrea Benelli che aveva gridato: buono! E allora mi sono permesso di segnalare il dubbio. Io ho percepito con lo sguardo che un pezzetto di piattello si era staccato, ma non avevo la certezza. Dopo la gara Benelli mi ha confermato che secondo lui il piattello era colpito. Ma in quel momento, in gara, l’esito negativo non mi ha creato nessun problema: ero tranquillo.
I tuoi colleghi del Trap giudicano Rabat un impianto molto difficile: qual è il giudizio che dà invece lo skeettista di quel campo?
Concordo con quello che dicono i miei colleghi: Rabat è un campo molto tecnico. E in più nei giorni dell’allenamento e anche nel primo giorno della gara c’è sempre stato un forte vento intorno ai cinquanta chilometri orari che ha condizionato abbastanza i lanci: si sa bene che con un vento di quel genere i piattelli fanno quello che vogliono… Non c’è stato vento invece nel giorno della finale e quindi abbiamo potuto concludere la gara con una situazione più regolare.
Guardando invece un po’ a ritroso possiamo dire che anche la gara de Il Cairo, sebbene tu non sia entrato in finale, indicava un tuo stato di forma già delineato.
L’unico momento critico a Il Cairo è stato quel 22 alla terza serie. Non sono stato capace di reagire allo zero che ho fatto al 3 pull. Non ho accettato quell’errore e questa mia incapacità di reagire correttamente allo zero ne ha prodotti altri due. Se avessi saputo reagire meglio a quell’errore in realtà avrei potuto accedere alla finale anche in quella gara.
Tammaro Cassandro con il Direttore tecnico della Nazionale di Skeet Andrea Benelli
Prima di partire per queste due prove di Coppa, in Italia ti sentivi già in grado di fare gare di alto livello?
Quando sono partito per Il Cairo sapevo che avrei potuto fare una buona gara. Invece alla vigilia della Coppa del Mondo di Rabat dicevo dentro di me: se mi sblocco non faccio una bella gara, ma addirittura una bellissima gara.
Sbloccarsi che significato ha avuto esattamente in quella situazione?
Voleva dire semplicemente arrivare pulito in ogni serie alla 4 e giocarsela in quella pedana.
Si dibatte da tempo sul concetto di stato di forma di un atleta. Tu hai fatto una gara perfetta a Rabat: vuol dire che hai raggiunto già il perfetto stato di forma? E in quel caso: come si conserva quella condizione a lungo?
Io ritengo che un atleta professionista possa decidere esattamente quando andare in forma e quando invece intenda posizionarsi in uno stato medio di rendimento.
Tammaro Cassandro con Vincent Hancock al termine della finale di Rabat
Gli atleti e le atlete del Settore Giovanile si chiedono spesso quale sia l’allenamento ordinario di un agonista di vertice: qual è la giornata-tipo dell’allenamento di Tammaro Cassandro?
Sono in pedana ogni mattina dalle 9 alle 13 e in quelle ore sparo trecento cartucce. Poi sparo ancora dalle 14 alle 17: un altro centinaio di colpi per completare il traguardo giornaliero di quattrocento cartucce. A fine giornata mi dedico invece alla preparazione fisica: corsa o esercizi in palestra.
Qual è la distribuzione dei lanci che affronti in allenamento?
Io faccio sempre ogni giorno le cinque serie: come se fosse ogni volta tutta la qualificazione di una gara. Poi vado a lavorare sulle pedane singole. Se c’è un lancio che durante le cinque serie di allenamento non mi ha lasciato soddisfatto, allora torno su quella pedana e mi soffermo su quel lancio. Io lavoro essenzialmente sulla sensazione: che non significa certo che non conta se colpisco o non colpisco il piattello. Certo che conta colpire il piattello! Ma è la sensazione che ti dice davvero qual è il tuo stato di forma.
In una finale come quella di Rabat avevi compreso che Vincent Hancock era indietro e che era lui ad inseguire in quel momento?
Me ne sono accorto soltanto alla 5 nel duello finale. Prima ero concentrato solamente sulla mia gara. È quando sono andato alla 5 per le ultime due doppie che ho buttato l’occhio al tabellone e ho visto che ero avanti di due piattelli. Però con un campionissimo come Hancock, anche se hai un bel vantaggio di due piattelli alle ultime due doppie, non puoi mai cantar vittoria. Devi stare attento, ripetere gli stessi movimenti e assumere esattamente lo stesso atteggiamento che hai avuto in tutto il resto della gara. Nessun piattello è diverso da un altro e nessun piattello può essere sottovalutato: neppure quando i numeri ti dicono che stai certamente vincendo. E questa è certamente la lezione più importante che può darci il nostro sport.
Foto Issf