Stefano Narducci e Giuseppe Fiume: quasi d’oro

La medaglia d’argento del siciliano tra gli Juniores e quella di bronzo del toscano nella graduatoria assoluta rappresentano il vertice qualitativo della trasferta azzurra al Mondiale di Fossa Universale

(di Massimiliano Naldoni)

Quasi goal. I meno giovani sanno che è stata un’espressione iconica di un telecronista radiofonico leggendario come Nicolò Carosio. Al giorno d’oggi, in cui attraverso i social di ogni evento si riceve nozione immediata e oggettiva, la scelta lessicale che sconfina nell’assurdo che potevano permettersi i telecronisti radiofonici finisce per apparire un vezzo. D’altronde non esisteva il quasi goal, come non esiste il quasi oro. Ma, a rischio di sovvertire la sacra gerarchia dei metalli delle medaglie, all’argento di Giuseppe Fiume e al bronzo di Stefano Narducci (nella foto di copertina sul podio di Ychoux con il neo campione del mondo, lo spagnolo Carmona, e il francese Perrin) attribuiamo comunque proprio quella insolita tonalità di colore: il quasi oro. Perché sia la prova del siciliano di Fiumefreddo, sintetizzata nella medaglia d’argento con 187/200, che il bronzo conquistato dal toscano con 194 meritano infatti di essere considerate delle prove di grandissimo pregio.

Stefano, già alla viglia del Mondiale avevi la percezione di poter offrire una prestazione di alto livello?

Era un periodo in cui sentivo di essere in forma e, agevolato anche dal fatto che le settimane che hanno preceduto il Mondiale erano il mio periodo di ferie, ho certamente potuto preparare un po’ meglio questa gara rispetto ad altre volte. Posso dire che un po’ di stanchezza per il viaggio l’abbiamo accusata tutti, però io sono abbastanza abituato ad affrontare le gare non in condizione di relax quindi ho convissuto bene con questa situazione e forse l’ho gestita meglio di altri. Però, come ho detto proprio anche agli altri miei colleghi di trasferta durante il viaggio di ritorno, forse adesso ci stiamo concentrando su questo problema della stanchezza del viaggio perché stiamo indagando i motivi dei risultati meno brillanti. Se avessimo sparato tutti benissimo, a gara conclusa nessuno avrebbe mosso il problema della stanchezza del viaggio.

Stefano Narducci

Quali sono allora secondo te le motivazioni di un generale rendimento meno brillante in questo Mondiale?

I risultati sono stati un più bassi per tutti in generale, e per tutti intendo: anche per atleti e atlete di molte altre nazioni, quindi andare a individuare una ragione valida soltanto per noi forse non funziona. I campi di Ychoux sono bellissimi, dispongono di uno sfondo perfetto con una pineta uniforme, però quello è un impianto con lanci impegnativi e soprattutto io sono convinto che all’origine di questo generale abbassamento delle medie ci sia proprio il fatto che abbiamo sparato in un impianto con otto campi che presentavano altrettanti schemi diversi. Raramente si disputano gare in impianti che dispongono di otto campi: ad esempio lo può fare appunto Ychoux, lo potrebbe fare e lo ha fatto Lonato. Generalmente in altri casi si spara in quadricampi in cui addirittura si utilizzano due schemi che vengono alternati nei quattro campi. A Ychoux non avevo mai sparato e personalmente è stata davvero la prima volta in cui ho affrontato le otto serie in otto campi diversi. Se affronti una gara con due schemi distribuiti in maniera alternata sui quattro campi, può essere sufficiente anche un giorno solo di allenamento perché comunque riesci a memorizzare i lanci di quei due schemi anche se ti cambia la prospettiva appunto cambiando campo. Ma ovviamente non puoi certo testare otto campi in un giorno di allenamento e quindi gareggiare con otto schemi diversi ogni giorno è stato come iniziare ogni volta da capo. Fra l’altro nelle due serie di allenamento che sono riuscito a fare mi sono anche trovato subito in sintonia con il campo. Ho fatto le due serie di prova con Alessandro Camisotti che è il mio compagno di squadra da una vita e anche lui mi ha detto che mi trovava perfettamente centrato nelle due serie che abbiamo fatto. Quindi, le premesse erano già buone. Poi, certamente, però, dalla teoria alla pratica, cioè: dalla prova alla gara, qualcosa cambia.

Giuseppe, anche per te ha pesato molto questa novità degli otto campi con otto schemi?

Sì, stavolta è stata una gara molto dura perché i campi di Ychoux non permettevano distrazioni. Otto campi e otto schemi hanno determinato il fatto che ogni mia serie è iniziata praticamente con uno zero: i primi cinque piattelli di ogni serie sono stati sempre lanci di adattamento al nuovo campo. Perfino nelle giornate in cui mi sono sentito molto bene come ad esempio il terzo giorno, in cui ho fatto 48 nonostante il vento molto forte: alla prima serie ho fatto 24 sbagliando il terzo e alla serie successiva un altro 24 sbagliando il primo. Se nei primi 150 piattelli avessi potuto eliminare gli zeri fatti nei primi cinque piattelli di ogni serie, sarei stato a punteggio pieno. In effetti è stato più pesante riuscire a fare 187 in questa gara che fare invece 198 all’Europeo.

Giuseppe Fiume

Stefano, da osservatori esterni in molti abbiamo fatto un calcolo elementare secondo il quale un 50 nell’ultima giornata avrebbe potuto darti il titolo…

L’ho pensato anche io. Il fatto è che un 50 purtroppo non si fa proprio a comando. Ho fatto due 24 e non ho neanche recriminazioni particolari. Perché in realtà i piattelli li ho persi prima. Il secondo giorno non sono stato benissimo: ero reduce da una notte in cui avevo dormito male e avevo avuto problemi di cervicale. La mattina sono andato in pedana addirittura con un po’ di nausea. Eppure sono uscito dalla giornata con un 48 che, con le condizioni che abbiamo detto, era un bel parziale. Certamente quel giorno, se fossi stato al meglio delle mie condizioni e avessi potuto gareggiare al 100%, non escludo che un altro piattello l’avrei potuto guadagnare. E nel terzo lo stesso: nonostante il vento forte con raffiche anche a 50 chilometri orari, con cambi di luce continui perché il cielo si è rannuvolato e rischiarato continuamente, ero riuscito ad arrivare pieno al quarantanovesimo della giornata e ho fatto zero all’ultimo dei 50.

Che cos’è successo a quel cinquantesimo piattello?

Era un piattello piuttosto semplice: un mezzo sinistro dalla quinta pedana. Evidentemente non ero abbastanza concentrato, probabilmente mi sono mosso prima: sta di fatto che è andato via e purtroppo in gara succede. Però io sono molto contento perché in questi casi si va sempre a guardare quello che si poteva fare in più, ma nello stesso modo poteva capitare qualche zero in altri momenti, specialmente considerando tutte le difficoltà di questa gara.

Il podio della classifica individuale assoluta al Mondiale di Fossa Universale

Giuseppe, ha pesato psicologicamente affrontare questo Mondiale da campione europeo dopo una gara strepitosa come quella di České Budějovice?

Sì, naturalmente sentivo che ci si attendeva molto da me dopo una gara come quella che avevo fatto nella Repubblica Ceca. Purtroppo sapevo anche di aver affrontato le due gare in maniera diversa: prima dell’Europeo ho avuto la possibilità di fare un allenamento più regolare e continuo, invece in queste settimane di agosto non ho potuto svolgere lo stesso tipo di preparazione.

Stefano hai fatto un allenamento esclusivo di Fossa Universale per questo Mondiale?

No, ho fatto un allenamento misto: naturalmente delle serie di Universale ma soprattutto qualche gara di Fossa Olimpica. In ogni caso nelle settimane prima del Mondiale sia all’Olimpica che all’Universale di zeri ne stavo facendo pochi. Le mie sedi tradizionali di allenamento sono il Tav La Torre, dove mi alleno con il mio collega di Nazionale Roberto Bocci che è un tesserato del club di Fabio Tiberi, e il Tav Montecatini – Pieve a Nievole. A Montecatini c’è sempre un campo allestito per la Fossa Universale, ma anche al Tav La Torre la dirigenza è sempre molto disponibile nei confronti di noi atleti. Personalmente preferisco alternare Olimpica e Universale nella fase di allenamento per non rischiare di fossilizzarmi sugli stessi lanci: secondo me nella fase di preparazione un po’ di variazione può soltanto far bene. Ychoux è quello che possiamo chiamare un campo di Universale pura in cui gli otto campi sono esattamente ciascuno la fotocopia dell’altro. Naturalmente la possibilità di allenarsi in campi di Universale pura anche in Italia aiuterebbe molto: le differenze tra un campo di Universale e uno di Olimpica adattato all’Universale non sono abissali, d’accordo, però certamente quando si parla di alti livelli agonistici la cura dei dettagli ha il suo valore.

Giuseppe, nell’ultima giornata la serie che avrebbe potuto permetterti di agganciare il tuo diretto avversario Avila in vetta è stata la più difficile: che cos’è successo?

In realtà sono entrato davvero bene in pedana: ero molto motivato. Avila sparava nella batteria subito prima: noi siamo anzitutto amici e infatti per quel senso sportivo che mi piace sempre rispettare sono sempre andato a stringergli la mano dopo la sua serie per complimentarmi. Ho iniziato la serie e sentivo di sparare benissimo: i primi piattelli li ho colpiti tutti di prima canna. Poi arriva lo zero al decimo, vado avanti e arriva un altro zero al quattordicesimo. Negli ultimi lanci poi non sono stato in grado di conservare la concentrazione che serviva. È vero che ci sono state delle interruzioni e qualche episodio in campo che ha contribuito a spezzare la concentrazione, ma riconosco che, sì, avrei dovuto chiudermi nella bolla e invece non ci sono riuscito. Devo riconoscere che era anche un momento cruciale: sebbene non voglia mai guardare i punteggi, in realtà un attimo prima di entrare in pedana avevo visto ovviamente che Avila stava continuando a sparare bene e quindi ho avvertito tutto il peso di ogni lancio in quella fase della gara. Ai 150 piattelli avevo il punteggio parziale di 143 e Hector Avila, dopo una partenza fulminante, invece proprio nella terza giornata aveva perso qualche piattello, quindi stiamo parlando dello snodo più importante della gara. Devo riconoscere che Avila ha meritato questo titolo: è stato fortissimo e anche nell’ultimo giorno ha sparato a livelli alti. Ci seguiamo su Instagram e ho seguito la sua preparazione in queste settimane: ero convinto che, dopo la bella gara che aveva fatto all’Europeo, sarebbe stato un protagonista anche al Mondiale.

Il podio dell’individuale Juniores al Mondiale di Ychoux

Stefano, se il Double Trap fosse ancora disciplina olimpica adesso magari staremo parlando di uno Stefano Narducci appena reduce dai Giochi..?

Non saprei dirlo. La carriera sportiva di un atleta spesso dipende da vicende esterne che è difficile prevedere e indirizzare secondo la propria volontà. È un pensiero legittimo: un bel sogno legittimo che possiamo permetterci di sognare…

(foto: Stefano Terrosi)