Paratrap: il laboratorio azzurro di Al Ain

Riccardo Rossi ha guidato negli Emirati la formazione composta da Raffaele Talamo, Massimo Lanza, Gianluigi Dessì e Antonio Dimasi: tutte le impressioni del dopo-gara

(di Massimiliano Naldoni)

L’ultimo episodio agonistico stagionale sulle pedane degli Emirati ha rappresentato un importante momento di messa a punto per la Nazionale di Paratrap del Direttore tecnico Benedetto Barberini. Guidati da Riccardo Rossi, i paratleti Raffaele Talamo, Massimo Lanza, Gianluigi Dessì e Antonio Dimasi hanno partecipato alla World Cup del Golfo per perfezionare il conseguimento della classificazione internazionale e per testare la condizione tecnica anche in vista della stagione 2026. Nel confronto di Al Ain Raffaele Talamo, al suo debutto in PT1, ha peraltro anche centrato la conquista della medaglia di bronzo. A Riccardo Rossi e ai paratleti azzurri impegnati nella World Cup abbiamo chiesto di comporre un diario di viaggio.

Riccardo Rossi

Coach Rossi, possiamo dire che quella di Al Ain ha rappresentato una trasferta improntata alla sperimentazione e alla valorizzazione di nuovi talenti?

Esattamente. Infatti ben tre paratleti dei quattro convocati dovevano ricevere la classificazione internazionale perché sapevamo che ad Al Ain sarebbe stata presente la Commissione medica internazionale incaricata di procedere alle nuove classificazioni. In occasione di questa trasferta, ad esempio, Raffaele Talamo ha potuto ricevere una classificazione, della durata di due anni,  che è diversa rispetto a quella secondo la quale gareggiava ormai da molte stagioni, perché purtroppo l’evoluzione della sua malattia lo ha costretto in questi ultimi tempi a operare la scelta di non sparare più in piedi ma di optare per l’attività da seduto. Non avevamo la certezza che Talamo potesse ottenere questa nuova classificazione, ma la Commissione, dopo la visita, gli ha invece riconosciuto pienamente la possibilità di passare alla qualifica PT1 e quindi è proprio in quella qualifica che Raffaele ha poi gareggiato nella World Cup. Il regolamento della PT1 consente di gareggiare in sedia o con l’ausilio di uno sgabello ed è proprio questa seconda modalità che Raffaele ha scelto. Nessun altro tiratore aveva fatto in precedenza la scelta che ha fatto Raffaele e infatti in questa World Cup la sua modalità di gara è stata osservata con molto interesse. Come è già avvenuto in passato nel Paratrap, l’Italia precorre sempre i tempi e anche in questa situazione stiamo lanciando dei suggerimenti che potranno essere utili soprattutto per l’estensione della pratica ad altri paratleti. Anche Gianluigi Dessì, che è un tiratore in sedia, non disponeva della classificazione internazionale e l’ha ottenuta mediante la visita. Il terzo esordiente a livello internazionale era Antonio Di Masi che era addirittura alla sua prima trasferta in maglia azzurra e che a sua volta doveva ottenere la classificazione internazionale.

Malgrado il profilo strettamente sperimentale della trasferta, è stato comunque conseguito un significativo risultato anche a livello tecnico.

Sì, poiché il conseguimento di vittorie o di medaglie in questo caso non era espressamente il primo traguardo della nostra spedizione, possiamo dire che tre presenze in finale e la medaglia di bronzo di Raffaele Talamo costituiscono anche un buon risultato che infatti è stato elogiato dal Dt Benedetto Barberini. Mi sento peraltro in dovere di ringraziare ancora una volta il Presidente federale Luciano Rossi, la Vicepresidente Emanuela Croce Bonomi e naturalmente il nostro Dt Barberini per averci permesso di condurre una trasferta che si è rivelata molto preziosa sul piano della preparazione. Occorre anche dire che il movimento paralimpico del tiro a volo sta crescendo dappertutto e le squadre di molte nazioni si stanno rafforzando tecnicamente: questo ci deve persuadere che è sempre più difficile centrare risultati di rilievo nel panorama internazionale. E anche per questo i risultati ottenuti in quest’ultima occasione devono essere salutati come positivi. Va inoltre detto che la scelta del Direttore tecnico Benedetto Barberini è quella di operare un turnover in occasione degli appuntamenti internazionali per consentire al maggior numero di paratleti di partecipare all’attività e di fare esperienza agonistica, mentre ad esempio molte altre formazioni partecipano a tutte le gare con gli stessi paratleti. Questo naturalmente, se considerato strettamente sul piano dei risultati, comporta qualche volta un lieve vantaggio per quelle nazioni che possono appunto beneficiare dei risultati di alcuni loro atleti molto forti in tutte le gare, ma le scelte della Fitav invece vanno in direzione dell’estensione dell’esperienza agonistica per il maggior numero possibile di paratleti. È una situazione che è spiegata efficacemente dalla composizione delle squadre che partecipavano a questa World Cup: mentre l’Italia ad Al Ain non schierava nessun atleta che era stato presente al Mondiale, in altri casi erano presenti magari proprio i vincitori dei titoli e i medagliati di Brno.

Raffaele Talamo al terzo posto nella gara di PT1  con il vincitore, l’emiratino Alhebsi, e con il ceco Bartos

Coach Rossi, il suo ruolo in questa trasferta è stato sicuramente fondamentale per aiutare chi non disponeva ancora di una solida esperienza internazionale.

Per alcuni dei paratleti presenti questa trasferta è stata un momento importante per imparare a gestire la gara. Per alcuni di loro si è trattato ad esempio della prima finale internazionale e quindi so che la mia presenza ha rappresentato un supporto di una certa valenza. Del resto in questi casi da gestire non c’è solo comprensibilmente l’emozione dell’appuntamento internazionale, ma anche ad esempio le caratteristiche dei lanci di una World Cup che tecnicamente sono spesso una forte novità. La grande collegialità che si è sempre creata in queste trasferte è poi un collante formidabile per accelerare il progresso tecnico di ogni paratleta.

Raffaele Talamo

Raffaele, la trasferta di Al Ain è stata l’esordio ufficiale di una tua nuova stagione agonistica?

Da qualche tempo, per l’aggravamento della mia malattia, a livello di stabilità non riuscivo a conservare correttamente l’equilibrio in pedana al momento del tiro e quindi si imponeva il passaggio alla qualifica PT1. Tecnicamente la sedia è certamente più stabile e più adatta al tiro, però io avevo già sperimentato in Italia questa modalità di tiro con lo sgabello e, poiché il regolamento lo consente, ci tenevo a formalizzare questa situazione. Sono quindi molto contento che la Commissione mi abbia classificato come atleta di PT1 e in parallelo mi abbia autorizzato l’utilizzo dello sgabello, anche perché in alternativa non avrei davvero potuto continuare a fare attività di tiro. Nella modalità che ho scelto ci sono alcuni aspetti ancora tutti da studiare: ad esempio, chi spara in sedia, quando ha effettuato il suo turno di tiro, sblocca la sedia e procede allo spostamento verso la pedana successiva. Nel mio caso, a tiro effettuato, devo alzarmi, recuperare lo sgabello, trasportarlo insieme al fucile alla pedana successiva e lì recuperare l’assetto seduto. Questo sistema ha però il vantaggio che rappresenta un allenamento fisico: ti costringe a restare molto attivo perché ti siedi e spari, poi ti alzi, ti muovi e ti metti di nuovo seduto. È un’attività fisica che sparare in sedia escluderebbe del tutto. Ebbene sì: al dodicesimo anno di attività paraolimpica affronto questa nuova avventura per la quale ho ricevuto la sollecitazione della Federazione, degli amici e di tanti colleghi del tiro. Fra l’altro, devo dire che in questa modalità ho partecipato anche al Campionato delle Società di Trap nella squadra del Tav Roma e siamo andati anche sul podio. Però sentivo che era necessario fare un test più ampio perché fino a quando giochi in casa, tutto è relativamente facile: quando invece affronti una finale internazionale con il pubblico e le riprese televisive e sotto il sole con temperature estive, allora le difficoltà aumentano e le sensazioni cambiano.

Raffaele Talamo, bronzo in PT1

Si prospetta quindi un futuro immediato di studio della nuova modalità?

Sì, perché al momento sono l’unico al mondo che ha intrapreso questa strada. Ci sono alcuni paratleti che, nell’impossibilità di continuare l’attività in piedi, hanno scelto di passare al tiro in sedia. Ma va detto che l’attività in carrozzina è molto diversa e quindi richiede una familiarità che si acquisisce con il tempo. Io ho provato a fare attività in sedia, ma ho incontrato molte difficoltà ed è per quello che ho scelto questa modalità intermedia nella quale comunque ci sono tanti aspetti da studiare: dovrò infatti operare delle modifiche al fucile a cui fino ad ora non mi ero dedicato perché dovevo essere certo di poter ricevere la nuova classificazione. E l’altro aspetto importante a cui ho lavorato in questi ultimi tempi è il fatto di poter ricevere la piena sensazione di sicurezza da questa nuova modalità: che è invece una sensazione che avevo perso completamente nell’attività in piedi. Per quel motivo ci tenevo a guadagnare almeno l’ingresso in finale in questa gara di Al Ain perché avrebbe significato il riconoscimento ufficiale da parte di tutto l’ambiente di questa mia nuova fase agonistica. Sono riuscito a portare a casa anche una medaglia e quindi è andata davvero benissimo.

La parola a Massimo Lanza

Per me è stato un ritorno alle origini, perché avevo sparato negli Emirati già nel 2018 e in quel caso avevo contribuito a conquistare l’oro a squadre. Ad Al Ain abbiamo sparato in una bella struttura, molto tecnica, con sganci impegnativi, con un clima ancora pienamente estivo: affrontare la finale sotto il sole alle due del pomeriggio è stata davvero un’impresa. In finale ho faticato un po’ a prendere il ritmo: quando poi ero riuscito a entrare in partita, era tardi per arrivare nei piani alti della classifica, ma sono comunque soddisfatto del risultato ottenuto in qualifica proprio per le condizioni complessivamente difficili. È stata anche una stagione molto lunga perché di solito nel mese di agosto si allenta l’attività pensando già all’anno successivo e invece quest’anno ho dovuto prolungare lo stato di forma fino all’autunno avanzato. Per motivi personali e familiari nei mesi scorsi non ho potuto svolgere proprio l’allenamento che avrei voluto, ma ero intenzionato comunque ad affrontare questa trasferta al meglio e devo dire che, pur non essendo arrivato al podio, il risultato tecnico di Al Ain parla da solo.

La parola a Gianluigi Dessì

Lo sbalzo di temperatura tra l’esterno caldissimo e gli ambienti chiusi e i veicoli, in cui invece imperversa l’aria condizionata molto forte, mi ha prodotto un attacco di febbre alta che mi ha accompagnato per una parte della gara e anche nel viaggio di ritorno. Purtroppo, appunto, già nel secondo giorno di gara non stavo bene e quel malessere ha pregiudicato il risultato: al termine del primo giorno invece ero terzo nella classifica parziale. Malgrado questo inconveniente, si è trattato però di una bella trasferta. Nella stagione scorsa in maglia azzurra ero già stato nella Repubblica Ceca, ma questa di Al Ain aveva tutte le prerogative della vera competizione: è stato anche un momento importante che mi ha permesso di ottenere la classificazione. E sono davvero prontissimo per le sfide del prossimo anno.

La parola ad Antonio Dimasi

È stata la mia primissima convocazione in Nazionale e quindi ovviamente la mia prima trasferta: e naturalmente è stata anche una grande e bella emozione per la quale ringrazio tutti i dirigenti e la Federazione. Ma avevo preparato molto bene questa gara, prolungando la stagione di un paio di mesi, perché generalmente alla fine di agosto concludo l’annata agonistica. Si poteva fare di più sul piano del risultato, ma per lo stesso inconveniente che ha afflitto anche altri atleti in questa gara, nel secondo giorno non stavo quasi in piedi per la febbre: adesso non so neppure come ho fatto a comporre il punteggio di 39 appunto nella qualificazione del secondo giorno e a tenere botta in finale e a non essere neppure il primo ad uscire. Guardando il bicchiere mezzo pieno, posso dire che il risultato è perfino buono. Ad essere totalmente sincero invece direi: fatemi giocare questa partita senza febbre, e poi vediamo davvero il risultato! Sentivo che in condizioni normali una medaglia poteva anche maturare e poiché era il mio debutto sarebbe stata l’apoteosi. È stato comunque un test interessantissimo e prezioso per me perché la tensione della gara internazionale l’ho avvertita in prova e nell’allenamento l’ho smaltita tutta. Adesso so che nei tiri di prova posso subire l’atmosfera della competizione importante, ma so anche che sono in grado di prendere confidenza con i piattelli proprio in quella fase della trasferta per poter dire: ok, domani è un altro giorno e si fa davvero sul serio..!