Giovanissimevolmente: Leonardo Bernardini

Il ventenne di Orvieto, campione invernale degli Allievi di Trap, è di nuovo primo nella sua qualifica al Gran Premio di Umbriaverde

(di Massimiliano Naldoni)

È una vittoria non proprio a sorpresa quella di Leonardo Bernardini tra gli Allievi della Fossa Olimpica al secondo Gran Premio del Settore Giovanile: il ventenne di Orvieto (al vertice del podio nell’immagine di copertina) era infatti uscito vincitore già dal primo confronto stagionale con la conquista dell’alloro d’inverno della sua qualifica a Roma nello scorso febbraio. Al Gran Premio di Umbriaverde, sul terreno di casa, Leonardo Bernardini ha centrato la promozione alla finale con 115/125 alle spalle del 117 di Sebastiano Bernabei e poi ha svettato in finale con 23 centri davanti allo stesso coetaneo emiliano che guidava la graduatoria parziale e a Emiliano Mazzeo.

Leonardo, dopo lo scudetto invernale a Roma, questa rotonda vittoria sul terreno di Umbriaverde: il 2025 è davvero una bell’annata?

Diciamo di sì. A parte l’episodio meno felice di Gioia del Colle. Il giorno prima di affrontare quel primo Gran Premio in Puglia ho fatto un intervento sul calcio regolabile: non ero però del tutto persuaso della modifica che avevo fatto e quindi sono arrivato alla gara senza la convinzione giusta, con l’effetto che in pedana non ero sicuro al 100% e il risultato negativo è stato la conseguenza.

Considerando il responso più recente, non hai certamente replicato quell’errore al Gran Premio dello scorso weekend.

No, ovviamente. Tanto si sa che il tiro a volo è soprattutto una questione di testa: di condizione mentale. Sono arrivato alla gara di Umbriaverde davvero convinto dell’attrezzo che utilizzavo e soprattutto delle mie possibilità ed è andata bene.

Anche in allenamento stavi rispettando quella media che poi ti ha permesso di vincere al Gran Premio?

Sì, mi sono sempre mantenuto su queste medie nelle ultime settimane e poi appunto sono arrivato molto preparato a questa gara in cui fra l’altro giocavo in casa.

Dopo un’ottima prima giornata, il giorno successivo nella prima serie qualche difficoltà però c’è stata e la serie più travagliata si è tradotta in un 20.

Sì, nella prima giornata ho sparato al campo 6 e poi all’1 e al 2. Sono partito appunto dal campo 6, in terza batteria: il sole stava da una parte e io avevo la piena convinzione di poter fare bene e infatti ho sparato con grande tranquillità. Nella seconda giornata ero ancora in terza batteria ma mi sono trovato invece il sole in faccia e ho sentito che in quel momento non ero nella condizione giusta per sparare ugualmente bene. Si è trattato quindi più di un effetto psicologico che tecnico. Infatti nei primi dieci piattelli ero pieno. A quel punto, come una doccia fredda, è arrivata la bicicletta: ho fatto uno zero in quinta pedana, sono poi tornato in prima sapendo che avrei affrontato un destro che mi aveva già messo in difficoltà poco prima e ho fatto il secondo zero.

Sei però tornato saldamente in possesso dei tuoi mezzi nella quinta serie della qualificazione.

Diciamo che mi ero dato il traguardo di conseguire il punteggio di 115/125, quindi con quel programma, dopo gli errori alla quarta serie, mi ero in certo modo obbligato a far bene nell’ultima. Avevo un solo errore a disposizione. Il problema è che in quell’ultima serie sono andato a sbagliare subito il secondo lancio, un destro montante, e quindi, per rispettare il programma, mi sono ritrovato costretto a non concedermi più errori nei ventitré piattelli successivi. Non essere in grado di totalizzare quel punteggio in casa, in uno dei campi in cui si svolge regolarmente il mio allenamento, sarebbe suonato veramente come una sconfitta. Fra l’altro arrivavo al Gran Premio dopo una sequenza di ottimi punteggi conseguiti in altre gare proprio a Umbriaverde.

È stato quello il momento più critico oppure era stata la bicicletta della serie precedente?

Sicuramente il momento più difficile è stato lo zero dell’ultima serie di qualificazione che però mi ha anche costretto a tirar fuori quella che io chiamo: la cattiveria agonistica. È stato un momento difficile innanzitutto perché a quel punto non rischiava di essere compromesso soltanto il punteggio che volevo conseguire, ma potevano verificarsi difficoltà anche nella promozione alla finale. Se al termine della prima giornata ero fra i primi tre in classifica, dopo il 20 della quarta serie invece ero sceso frattanto intorno alla decima posizione.

Come hai affrontato la finale dopo le tante emozioni della qualificazione?

Sono entrato in finale molto tranquillo perché l’obbiettivo del 115 era raggiunto, quindi a quel punto ho giudicato che qualunque risultato in finale sarebbe stato positivo. Non mi sono dato prospettive particolari, non sentivo neppure tutta questa esigenza di arrivare primo, e quindi ho gareggiato in finale come se fosse una serie qualsiasi, sebbene a un colpo.

A proposito, in allenamento programmi regolarmente dei test a un colpo?

No. Ho un mio programma tutto particolare su questo argomento. Qualche volta mi è capitato di fare un’intera serie a un colpo dopo due serie tradizionali a due colpi e, per effetto del risultato negativo di quella terza serie, ho passato poi tutto il tempo successivo a rimuginare sulle ragioni di quella serie non riuscita. E dal momento che è un fenomeno capitato più volte, ho smesso di programmare serie intere a un colpo in allenamento e mi limito a sparare a un colpo magari soltanto gli ultimi cinque piattelli di una delle serie di allenamento. Ad esempio nell’ultimo mese non avevo mai fatto una serie intera a un colpo, ma mi sono limitato appunto a veloci test sugli ultimi piattelli. Poi però in realtà nella finale del Gran Premio mi sono sentito molto sicuro.

Forse è perché ti consideri un tiratore che privilegia la prima canna?

Non è proprio vero neppure questo. Dipende molto dalle giornate, anche se, sì: la prima canna è spesso il mio colpo vincente. Però di cartucce ne uso molte perché mi piace andare ad inseguire con la seconda canna anche i pezzetti dei piattelli che ho colpito con la prima!